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La città sperimentale di Auroville in India è conosciuta anche con il nome evocativo di ‘Città dell’aurora’. L’idea della sua fondazione è stata partorita dalla mente di due mistici, molto noti per il loro attivismo spirituale.

Sto parlando di Sri Aurobindo e la moglie Mira Alfassa, conosciuta dai loro seguaci con l’appellativo di Madre. La loro intenzione era quella di dare vita a una comunità intenzionale in cui potessero convivere individui con idee e credi differenti e inconciliabili.

La comunanza si rende necessaria per realizzare una Unità Umana in cui cui sovraneggi l’armonia, il rispetto e la pace. Un microcosmo che possa fungere da esempio per il resto dell’umanità.

La città sperimentale di Auroville

 

Nel 1968 nasce la città sperimentale di Auroville, nello stato federato Tamil Nadu e, più precisamente, nel distretto di Viluppuram. A sviluppare l’urbanizzazione della città è stato l’architetto Roger Anger, di origini francesi come Mira Alfassa.

Per raggiungere la città ci si può affidare ai mezzi pubblici oppure ai taxi messi a disposizione direttamente dall’organizzazione privata di Auroville. L’aeroporto che copre la distanza minore dalla città è quello di Chennai International Airport.

Da qui si possono prendere i vari mezzi pubblici oppure richiedere il servizio in anticipo allo Shared Transport Service di Auroville, il quale farà trovare un tassista pronto a fare il tragitto dall’aeroporto ad Auroville.

Si può scegliere di fare un periodo di volontariato in città oppure proporsi per fare una semplice visita. Entrambe le esperienze sono propedeutiche al trasferimento definitivo alla città sperimentale.

Le domande più comuni inerenti al conglomerato urbano riguardano soprattutto i termini di accettazione. Ovvero, si vuole sapere se la città è aperta a tutti.

Auroville per rispondere alla questione ha stilato una carta dei valori, la quale sottoscrive:

  • la città appartiene agli abitanti e non a un’organizzazione privata;
  • per vivere nella città bisogna essere dei volontari della Coscienza Divina;
  • ad Auroville non si smette mai di imparare, di insegnare, di interagire gli uni con gli altri;
  • si tratta di un progetto sperimentale in cui si pongono le basi per un futuro comunitario radioso;
  • la sua componente essenziale è di ordine spirituale e la sua ricerca è l’Unità Umana.

 

Nella città vivono più di 2.000 abitanti e l’attrazione principale è il Matrimandir, un edificio con una cupola dorata in cui ci si ritrova a fare meditazione.

La visita della città richiede più di un giorno, minimo una settimana. Solo così si può entrare in sintonia con la comunità e scoprire il vero spirito sperimentale della città.

Possiamo dire che l’agglomerato urbano è un continuo work in progress, il quale non segue una direzione specifica, se non quella di formare una comunità unita e amorevole.

 

città sperimentale di auroville filosofia e spiritualità

 

Chi erano Sri Aurobindo e Mira Alfassa? 

Sri Aurobindo è stato un filosofo e un insegnante di yoga, il quale ha ideato il modello di yoga integrale. In giovane età si trasferì in Inghilterra dove poté accedere agli studi universitari. Entrò in contatto anche con il mondo della Teosofia, divenendone una sorta di mascotte.

Ma la sua autentica vocazione era quella di ritornare in India e battersi affinché potesse finalmente rendersi libera dalla dominazione britannica. Per questo ha combattuto molto a livello sociale e politico.

Mira Alfassa nacque a Parigi ma per tutta la sua vita fu abituata a viaggiare in tutto il mondo. Conobbe Sri Aurobindo nel 1920 e in lui vide in lui un maestro.  Così si fermò a Pondichéry, al tempo enclave dell’India francese, e insieme a lui gestì un ashram.

Negli anni Sessanta Mira ideò l’urbanistica e, in particolare, la planimetria per la città sperimentale di Auroville, dopodiché ne confinò le regole affinché diventasse un luogo di pace e di eterna armonia.

La città sperimentale di Auroville attraverso le parole di Sri Aurobindo:

Punto e viaggio consiglia altre letture:

Da quando ho scoperto i principi dell’estetica giapponese li ho integrati nella mia vita riportando un maggiore equilibrio e distacco. I concetti risultano piuttosto interessanti e sono ben differenti dai nostri.

Il tema di sfondo rimane l’ordine che non viene rappresentato in modo pianificato e costruito, bensì in maniera effimera e mutevole, un elemento intrinseco del tempo.

Non è qualcosa di perfettamente realizzato in ogni suo dettaglio ma un componente che cambia a seconda dello scorrere delle ore, del giorno, delle stagioni e così via.

Principi dell’estetica giapponese

 

La posizione privilegiata del Giappone ha permesso di mantenere inalterate le radici culturali per secoli prima dell’inevitabile offuscamento e globalizzazione da parte della cultura occidentale.

Sono pervenute così intatte le concezioni di bellezza basate sul concetto buddista dell’impermanenza: il principio cardine che ricerca l’armonia nella semplicità, il quale va a cozzare con il nostro continuo esporsi e ostentare.

 

Possiamo riassumere così i seguenti principi dell’estetica giapponese:

  • MONO NO AWARE: l’impermanenza, il cui simbolo è rappresentato dal fiore del ciliegio;
  • WABI SABI: l’imperfezione della bellezza;
  • MIYABI: indica la quiete come forma essenziale dell’eleganza;
  • MA: il vuoto inteso come pausa o silenzio;
  • SHIBUSA: la capacità di sottintendere;
  • KIRE: ciò che rimane escluso;
  • JO A KIU: il giusto ritmo o il giusto momento;
  • YOAKU-NO-BI: la bellezza di ciò che manca;
  • YUGEN: l’oscurità;

Se paragoniamo questi concetti alla nostra idea di bellezza ci rendiamo conto di quanto poco abbiamo in comune con l’antica cultura nipponica.

Per riassumere possiamo affermare che la bellezza, secondo la filosofia orientale, è qualcosa in movimento, in continuo cambiamento ed evoluzione rispetto ai parametri di perfezione che si ricerca nella parte occidentale del pianeta.

La perfezione è proprio ciò che ostacola la bellezza in quanto la rende poco credibile e artificiosa. Ora, però, vediamoli meglio nel dettaglio.

 

la geisha e la sua bellezza ripresi dall'estetica giapponese

 

MONO NO AWARE

Il primo concetto “mono no aware” è quello a cui sono più affezionata e che avevo deciso di perseguire in un 2020 piuttosto rocambolesco. A causa o grazie alla pandemia la vita si è dimostrata più fragile di quanto sembrasse.

Tutti noi abbiamo assaporato l’incertezza nonostante le basi solide sulle quali si poggia la nostra vita. Abbiamo dovuto interfacciarci con un nuovo stile di vita che ancora fatichiamo a sopportare e, integrare, nel nostro quotidiano.

Questo cambiamento repentino, però, ci ha reso consapevoli di come le cose siano mutevoli e non statiche: se impariamo a lasciare andare e ad accogliere il presente la vita si trasformerà in qualcosa di più intenso e ricco di sfumature.

 

WABI SABI

Il wabi sabi cavalca l’onda dell’imperfezione dimostrandoci come gli oggetti possano apparire ammirevoli nonostante alcuni dettagli sbagliati. Anzi, sono proprio questi difetti, a renderli unici.

Allo stesso modo possiamo translitterare il concetto a noi stessi e alle persone iniziando ad amarle e, ad amarci, proprio in base alle loro e, alle nostre, particolarità e a rispettare le loro e ancora, le nostre, spigolosità di carattere.

Anch’esso è un concetto che dovremmo sperimentare e introdurlo nelle nostre vite affinché ci sia maggiore comprensione e rispetto.

 

MIYABI

Miyabi è l’arte di godere della quiete e anch’esso lo abbiamo sviluppato, nostro malgrado, durante il primo lockdown. Si tratta del momento in cui ogni incombenza è stata svolta e, liberi da ogni dovere, ci si può dedicare al proprio hobby o piacere personale.

Il termine è strettamente legato alla cultura: quando il nostro essere si esprime attraverso la creatività, l’emotività o l’arte in generale nasce l’espressione individuale. Altri due vocaboli si sono affiancati a miyabi: Iki e senren.

Il primo, iki, è praticamente scomparso e significava l’eleganza accompagnata dalla sensualità mentre in senren, più attuale, permane il concetto di eleganza spogliato, però, dalla sensualità. Il vocabolo per come è usato oggi si può rapportare all’uso di chic.

 

MA

Si riallaccia alla filosofia buddista inglobata nel senso di vuoto e compare in ogni campo artistico. Il ma, ovvero la pausa tra due o più oggetti, situazioni ed emozioni, ha la stessa rilevanza dell’oggetto stesso perché si trova collocato nel medesimo livello di esistenza.

Volendo contestualizzare il concetto lo potremmo paragonare al non respiro presente negli esercizi di pranayama dello yoga o alla suddivisione dello yin e dello yang nel taoismo. È un’astrazione affascinante che raramente troviamo contemplata nella nostra cultura occidentale.

 

SHIBUSA

Lo shibusa rappresenta l’espressione massima dell’estetica giapponese e contiene al suo interno sette proprietà:

  1. semplicità;
  2. modestia;
  3. essenzialità intrinseca;
  4. naturalezza;
  5. purezza;
  6. sobrietà;
  7. ruvidezza (intesa come quella naturale presente in natura).

Tutti questi elementi assemblati assieme rendono l’idea di shibusa: un qualcosa di non artefatto, artificioso o costruito ma delicatamente naturale.

 

KIRE

Il kire si associa all’ikebana, l’arte di recidere i fiori, molto amato dagli appassionati del genere. In questo contesto i fiori vengono elaborati in modo da assumere l’aspetto di un’espressione personale.

Le parti eliminate hanno però anch’esse una loro rilevanza in quanto concorrono a esprimere la piena bellezza del fiore e, visto da un punto di vista buddista, consentono di togliere il superfluo al fine di vivere nell’essenziale.

Kire abbraccia anche l’impermanenza perché sottolinea come alcune parti, sebbene prima fossero necessarie, con il tempo potrebbero diventare obsolete o intralcianti al nostro cammino spirituale.

 

YOAKU-NO-BI

L’allusione potrebbe essere la traduzione di yoaku-no-bi secondo il pensiero zen che rimanda ancora una volta al nulla e quindi a tutto ciò che non è rappresentabile.

Un altro significato è quello utilizzato nel Medioevo in riferimento ai giardini sguarniti di fiori o gingilli che sottointendeva un uso di spazi vuoti e soggetti incolori.

Una sorta di “bellezza della pochezza” che andava a contrastare con il lusso e l’ostentazione, strenui oppositori dei principi dell’estetica giapponese.

JO A KIU

La parola jo a kiu rappresenta un’idea astratta applicata a diverse arti giapponesi tra cui il teatro, la musica, la cerimonia del tè, eccetera, e sintetizza la coreografia del movimento.

Solo per la musica indica un ritmo continuo, quasi monotono, totalmente avulso dalla nostra concezione di note e pause, mentre per le altre arti è un susseguirsi di momenti che vanno dal lento al veloce, per concludersi in rapidità.

L’idea rimane comunque la stessa: trovare, attraverso una serie di movimenti, un andamento che sia armonico e coerente al momento presente.

 

YUGEN

Paragonando il termine yugen a un vocabolo di forte astrazione occidentale potremmo usare il concetto junghiano di simbolismo inconscio, un qualcosa, quindi, di insondabile e imperscrutabile.

Il fascino del mistero e di tutto ciò che non può essere spiegato a parole ma che possiede, in realtà, una forte impressione a livello inconscio. Nel teatro No la parola indica, invece, la grazia dei movimenti, frutto di anni di esercitazione e fatica.

Il lato oscuro di ciò che appare naturale ma in realtà è sinonimo di sfiancante allenamento e feroce precisione.

Gli spiriti guida della natura Nat sono una testimonianza dell’antico legame suggellato fra gli uomini e la nostra Madre Terra. Il popolo birmano teneva molto a questo rapporto tanto da conservarlo fino ai giorni nostri.

Fu il re Anawrahta di Bagan a fondere la religione buddista con la venerazione dei Nat proprio per non cancellare le radici spirituali del suo amato popolo. 

Chi sono i Nat?

 

I Nat sono dei personaggi realmente vissuti e morti in circostanze atroci che si sono trasformati nei guardiani della Natura. Per questo mal tollerano chi non sa rispettarla perché lo vivono come un nuovo affronto personale. 

Si nascondono all’interno degli alberi, nell’acqua o nelle rocce e indispettiscono chi crea loro disturbo. In totale sono 37 anche se inizialmente erano molti di più e superavano il centinaio.

Anticamente, infatti, ogni villaggio aveva diversi Nat che difendevano il raccolto, favorivano le piogge e ostacolavano le inondazioni o proteggevano gli abitanti a fronte di un’offerta di cibo.

Tale credenza ha favorito finora il mantenimento della forestazione e ha impedito alle multinazionali di sfruttare i territori birmani a loro piacimento e stretto guadagno.

 

buddismo e spiriti nat

 

Perché gli spiriti guida della natura Nat hanno subito una morte tragica?

 

A causa del loro patimento si sono meritati un posto d’onore nel ricordo della storia birmana proprio come i nostri santi cattolici. Ogni persona si può ispirare a uno dei Nat tenendolo come riferimento e spirito guida nel superare le avversità della vita. Possono venerare uno o l’altro in base alle proprie necessità traendo supporto spirituale e mantenendo in vita le proprie radici culturali. 

Essendo parte integrante della storia birmana non possono essere semplicemente cancellati dal tempo ma persistono nella mente degli uomini a monito del futuro.

Rivestono un’importanza sociale soprattutto nelle aree urbane dove si eseguono festival propiziati da una sorta di medium, conosciuti come Nat Kadaw interpretandone l’essenza. 

Quale utilità hanno gli spiriti guida?

 

Molte credenze antiche di stampo sciamanico o animista riconoscono nella natura degli abitanti spirituali che si dedicano alla sua conservazione. Anche in Europa, prima che la religione cattolica spazzasse via con violenza le pratiche pagane, il bosco e la Natura venivano rispettate adorate. 

Mi vengono in mente le molte leggende legate al fiume Piave e ai vari spiriti che lo accudivano contro le malefatte degli uomini, per esempio.

Si riconosceva alla terra e agli altri elementi naturali la capacità di generare vita o di creare morte. Per questo motivo venivano fatte offerte dagli uomini affinché gli spiriti, che in essa abitavano, potessero intercedere per loro. 

È un peccato che si conservi ben poco di questa antica tradizione potrebbe risultare utile in questo momento storico in cui stiamo vivendo una sorta di necessario avvicinamento alle esigenze della Natura. 

Ridimensionerebbe la nostra presenza e ci renderemmo conto della benevolenza della nostra Madre Terra. Affidarsi a uno spirito guida, che ben sa di quale essenza sia fatto il mondo, ci aiuterebbe a superare quei dilemmi esistenziali che tanto ci tormentano. 

I Maya ci consigliano di affidarci ai nahuales mentre i Romani riconoscevano il Genius Loci. I greci o i celti avevano inventato moltissimi personaggi legati all’universo naturale come le ninfe, i folletti, gli gnomi, le driadi, eccetera.

Un sapere diventato evanescente ma sempre pronto a rivelarsi a chi lo vuole ascoltare. E tu sei pronto a tendere l’orecchio a questo mondo misterioso?

Quando tutto è silenzio le cose cominciano a parlare;
pietre, animali e piante diventano fratelli e sorelle e comunicano ciò che è nascosto.