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La città sperimentale di Auroville in India è conosciuta anche con il nome evocativo di ‘Città dell’aurora’. L’idea della sua fondazione è stata partorita dalla mente di due mistici, molto noti per il loro attivismo spirituale.

Sto parlando di Sri Aurobindo e la moglie Mira Alfassa, conosciuta dai loro seguaci con l’appellativo di Madre. La loro intenzione era quella di dare vita a una comunità intenzionale in cui potessero convivere individui con idee e credi differenti e inconciliabili.

La comunanza si rende necessaria per realizzare una Unità Umana in cui cui sovraneggi l’armonia, il rispetto e la pace. Un microcosmo che possa fungere da esempio per il resto dell’umanità.

La città sperimentale di Auroville

 

Nel 1968 nasce la città sperimentale di Auroville, nello stato federato Tamil Nadu e, più precisamente, nel distretto di Viluppuram. A sviluppare l’urbanizzazione della città è stato l’architetto Roger Anger, di origini francesi come Mira Alfassa.

Per raggiungere la città ci si può affidare ai mezzi pubblici oppure ai taxi messi a disposizione direttamente dall’organizzazione privata di Auroville. L’aeroporto che copre la distanza minore dalla città è quello di Chennai International Airport.

Da qui si possono prendere i vari mezzi pubblici oppure richiedere il servizio in anticipo allo Shared Transport Service di Auroville, il quale farà trovare un tassista pronto a fare il tragitto dall’aeroporto ad Auroville.

Si può scegliere di fare un periodo di volontariato in città oppure proporsi per fare una semplice visita. Entrambe le esperienze sono propedeutiche al trasferimento definitivo alla città sperimentale.

Le domande più comuni inerenti al conglomerato urbano riguardano soprattutto i termini di accettazione. Ovvero, si vuole sapere se la città è aperta a tutti.

Auroville per rispondere alla questione ha stilato una carta dei valori, la quale sottoscrive:

  • la città appartiene agli abitanti e non a un’organizzazione privata;
  • per vivere nella città bisogna essere dei volontari della Coscienza Divina;
  • ad Auroville non si smette mai di imparare, di insegnare, di interagire gli uni con gli altri;
  • si tratta di un progetto sperimentale in cui si pongono le basi per un futuro comunitario radioso;
  • la sua componente essenziale è di ordine spirituale e la sua ricerca è l’Unità Umana.

 

Nella città vivono più di 2.000 abitanti e l’attrazione principale è il Matrimandir, un edificio con una cupola dorata in cui ci si ritrova a fare meditazione.

La visita della città richiede più di un giorno, minimo una settimana. Solo così si può entrare in sintonia con la comunità e scoprire il vero spirito sperimentale della città.

Possiamo dire che l’agglomerato urbano è un continuo work in progress, il quale non segue una direzione specifica, se non quella di formare una comunità unita e amorevole.

 

città sperimentale di auroville filosofia e spiritualità

 

Chi erano Sri Aurobindo e Mira Alfassa? 

Sri Aurobindo è stato un filosofo e un insegnante di yoga, il quale ha ideato il modello di yoga integrale. In giovane età si trasferì in Inghilterra dove poté accedere agli studi universitari. Entrò in contatto anche con il mondo della Teosofia, divenendone una sorta di mascotte.

Ma la sua autentica vocazione era quella di ritornare in India e battersi affinché potesse finalmente rendersi libera dalla dominazione britannica. Per questo ha combattuto molto a livello sociale e politico.

Mira Alfassa nacque a Parigi ma per tutta la sua vita fu abituata a viaggiare in tutto il mondo. Conobbe Sri Aurobindo nel 1920 e in lui vide in lui un maestro.  Così si fermò a Pondichéry, al tempo enclave dell’India francese, e insieme a lui gestì un ashram.

Negli anni Sessanta Mira ideò l’urbanistica e, in particolare, la planimetria per la città sperimentale di Auroville, dopodiché ne confinò le regole affinché diventasse un luogo di pace e di eterna armonia.

La città sperimentale di Auroville attraverso le parole di Sri Aurobindo:

Punto e viaggio consiglia altre letture:

Ti sei mai abbuffato/a in hotel o al bar con la colazione moderna turca? Domani puoi farlo seguendo la lista degli ingredienti.

Ti anticipo già che la colazione moderna turca è prevalentemente salata, come la maggior parte dei primi pasti internazionali, anche se, a volte, scopriamo delle pietanze dolci che ci fanno tanto piacere!

Almeno per quanto mi riguarda. Fatico sempre, quando sono all’estero, iniziare il mattino con qualcosa di salato, preferisco cercare della frutta fresca o secca e qualche biscotto. Ma anche cambiare le abitudini alimentari fa parte dell’esperienza del viaggio per cui perché non provare?

La cultura della colazione

 

La colazione moderna turca è un vero e proprio rito da onorare in compagnia di amici e parenti durante il fine settimana, quando si ha più tempo libero.

Può durare anche delle ore in quanto le pietanze messe a disposizione sono un’infinità e variano, ovviamente, in base alla regione in cui ci si trova. Due bevande ci accomunano: il tè e il caffè.

Ma il tè accompagna la colazione mentre il caffè viene bevuto solo al termine del pasto. Difatti, la colazione si chiama kahvalti che significa proprio “prima del caffè”.

Si tratta di un caffè forte? Non meno del nostro, solo che come ti ho anticipato nella colazione giordana, è servito nello stesso contenitore in cui si prepara, per cui quando ti sarà servito troverai alla fine anche il fondo.

Non dimenticarlo! Io la prima volta che l’ho bevuto ho mandato giù fondo e caffè assieme e non è stata una sorsata memorabile! Spesso al caffè viene aggiunto anche un tocco di cardamomo che dona una nota esotica alla bevanda.

Per quanto riguarda il tè, invece, si incontra è il classico tè verde o nero come lo sorseggiamo anche noi. A volte pesantemente zuccherato come si usa anche in Marocco.

 

tè turco nella colazione moderna turca

Gli ingredienti della colazione moderna turca

 

Come già ti anticipavo gli ingredienti sono davvero numerosi a partire dal formaggio tipico in base alla località, olive nere e verdi, verdura di stagione come pomodoro, cetrioli, peperoni conditi con dell’ottimo olio di oliva.

Spesso, però, le verdure di stagione si trovano all’interno del menemen, una sorta di frittata di verdure. Questa pietanza è ciò che ogni viaggiatore desidera assaggiare non appena entra in territorio turco.

La preparazione è molto semplice: basterà cuocere in una padella un pomodoro, una cipolla, erbe selvatiche e un peperone con dell’olio d’oliva. Quando si saranno ammorbiditi si aggiungeranno le uova, in base ai commensali (come anche le verdure) e si lascerà cuocere.

L’impasto dovrà essere mescolato spesso in modo da separare gli ingredienti affinché risultino omogenei. Prima che il composto si solidifichi si metterà il sale e le spezie a piacimento come il timo, l’origano o il prezzemolo. La frittata sarà tagliata a fette e servita in un tagliere.

Al salato si aggiunge il dolce come il miele, della frutta fresca già tagliata a fette, il burro di sesamo con la melassa di uva e il gustosissimo simit, ovvero ciambella al sesamo.

Ricetta simit

 

Ingredienti

 

  • 150 grammi farina 00;
  • 100 grammi farina di farro;
  • 5 grammi di lievito istantaneo;
  • mezzo bicchiere di olio di oliva;
  • un bicchiere di acqua temperatura ambiente;
  • 4 cucchiai di zucchero di canna o se si vuole dare più sapore zucchero vanigliato;
  • 3 cucchiai di miele;
  • sesamo e  un pizzico di sale;

 

Procedimento

 

In una ciotola mescolare, dopo aver setacciato le due farine, il lievito, lo zucchero, il sale, una manciata di sesamo, l’olio e l’acqua a filo. Aggiustare gli ingredienti qualora l’impasto risulti troppo solido o liquido.

Lasciare riposare il panetto così formato per circa un’ora a temperatura ambiente e proteggerlo da una pellicola o un canovaccio. Trascorso il periodo di riposo tagliare in piccole porzioni per creare delle strisce lunghe circa 10 centimetri.

Arrotolare le strisce affinché risultino intrecciate e poi attaccare un’estremità all’altra per dare vita alla ciambella. Continuare in questo modo fino al termine dell’impasto.

Lasciare riposare le ciambelle all’interno del forno per un’altra mezz’ora. Successivamente preparare una ciotola con dell’acqua a cui andrà aggiunto il miele.

Intingere le ciambelle una a una e poi passarle sopra a un piatto su cui avremo inserito il sesamo. La copertura può essere fatta da un solo lato o su entrambi.

Lasciare riposare per un altro quarto d’ora e accendere nel frattempo il forno. Quando raggiungerà la temperatura di 200° si potranno inserire le ciambelle per circa 15 minuti o fino a che avranno assunto un bel colorito dorato.

Sono ottimi serviti caldi o freddi e come accompagnamento al tè o al caffè. Volendo si possono impreziosire con l’aggiunta della cannella mescolata ai semi di sesamo nella guarnizione prima della cottura.

Da quando ho scoperto i principi dell’estetica giapponese li ho integrati nella mia vita riportando un maggiore equilibrio e distacco. I concetti risultano piuttosto interessanti e sono ben differenti dai nostri.

Il tema di sfondo rimane l’ordine che non viene rappresentato in modo pianificato e costruito, bensì in maniera effimera e mutevole, un elemento intrinseco del tempo.

Non è qualcosa di perfettamente realizzato in ogni suo dettaglio ma un componente che cambia a seconda dello scorrere delle ore, del giorno, delle stagioni e così via.

Principi dell’estetica giapponese

 

La posizione privilegiata del Giappone ha permesso di mantenere inalterate le radici culturali per secoli prima dell’inevitabile offuscamento e globalizzazione da parte della cultura occidentale.

Sono pervenute così intatte le concezioni di bellezza basate sul concetto buddista dell’impermanenza: il principio cardine che ricerca l’armonia nella semplicità, il quale va a cozzare con il nostro continuo esporsi e ostentare.

 

Possiamo riassumere così i seguenti principi dell’estetica giapponese:

  • MONO NO AWARE: l’impermanenza, il cui simbolo è rappresentato dal fiore del ciliegio;
  • WABI SABI: l’imperfezione della bellezza;
  • MIYABI: indica la quiete come forma essenziale dell’eleganza;
  • MA: il vuoto inteso come pausa o silenzio;
  • SHIBUSA: la capacità di sottintendere;
  • KIRE: ciò che rimane escluso;
  • JO A KIU: il giusto ritmo o il giusto momento;
  • YOAKU-NO-BI: la bellezza di ciò che manca;
  • YUGEN: l’oscurità;

Se paragoniamo questi concetti alla nostra idea di bellezza ci rendiamo conto di quanto poco abbiamo in comune con l’antica cultura nipponica.

Per riassumere possiamo affermare che la bellezza, secondo la filosofia orientale, è qualcosa in movimento, in continuo cambiamento ed evoluzione rispetto ai parametri di perfezione che si ricerca nella parte occidentale del pianeta.

La perfezione è proprio ciò che ostacola la bellezza in quanto la rende poco credibile e artificiosa. Ora, però, vediamoli meglio nel dettaglio.

 

la geisha e la sua bellezza ripresi dall'estetica giapponese

 

MONO NO AWARE

Il primo concetto “mono no aware” è quello a cui sono più affezionata e che avevo deciso di perseguire in un 2020 piuttosto rocambolesco. A causa o grazie alla pandemia la vita si è dimostrata più fragile di quanto sembrasse.

Tutti noi abbiamo assaporato l’incertezza nonostante le basi solide sulle quali si poggia la nostra vita. Abbiamo dovuto interfacciarci con un nuovo stile di vita che ancora fatichiamo a sopportare e, integrare, nel nostro quotidiano.

Questo cambiamento repentino, però, ci ha reso consapevoli di come le cose siano mutevoli e non statiche: se impariamo a lasciare andare e ad accogliere il presente la vita si trasformerà in qualcosa di più intenso e ricco di sfumature.

 

WABI SABI

Il wabi sabi cavalca l’onda dell’imperfezione dimostrandoci come gli oggetti possano apparire ammirevoli nonostante alcuni dettagli sbagliati. Anzi, sono proprio questi difetti, a renderli unici.

Allo stesso modo possiamo translitterare il concetto a noi stessi e alle persone iniziando ad amarle e, ad amarci, proprio in base alle loro e, alle nostre, particolarità e a rispettare le loro e ancora, le nostre, spigolosità di carattere.

Anch’esso è un concetto che dovremmo sperimentare e introdurlo nelle nostre vite affinché ci sia maggiore comprensione e rispetto.

 

MIYABI

Miyabi è l’arte di godere della quiete e anch’esso lo abbiamo sviluppato, nostro malgrado, durante il primo lockdown. Si tratta del momento in cui ogni incombenza è stata svolta e, liberi da ogni dovere, ci si può dedicare al proprio hobby o piacere personale.

Il termine è strettamente legato alla cultura: quando il nostro essere si esprime attraverso la creatività, l’emotività o l’arte in generale nasce l’espressione individuale. Altri due vocaboli si sono affiancati a miyabi: Iki e senren.

Il primo, iki, è praticamente scomparso e significava l’eleganza accompagnata dalla sensualità mentre in senren, più attuale, permane il concetto di eleganza spogliato, però, dalla sensualità. Il vocabolo per come è usato oggi si può rapportare all’uso di chic.

 

MA

Si riallaccia alla filosofia buddista inglobata nel senso di vuoto e compare in ogni campo artistico. Il ma, ovvero la pausa tra due o più oggetti, situazioni ed emozioni, ha la stessa rilevanza dell’oggetto stesso perché si trova collocato nel medesimo livello di esistenza.

Volendo contestualizzare il concetto lo potremmo paragonare al non respiro presente negli esercizi di pranayama dello yoga o alla suddivisione dello yin e dello yang nel taoismo. È un’astrazione affascinante che raramente troviamo contemplata nella nostra cultura occidentale.

 

tempio giapponese

 

SHIBUSA

Lo shibusa rappresenta l’espressione massima dell’estetica giapponese e contiene al suo interno sette proprietà:

  1. semplicità;
  2. modestia;
  3. essenzialità intrinseca;
  4. naturalezza;
  5. purezza;
  6. sobrietà;
  7. ruvidezza (intesa come quella naturale presente in natura).

Tutti questi elementi assemblati assieme rendono l’idea di shibusa: un qualcosa di non artefatto, artificioso o costruito ma delicatamente naturale.

 

KIRE

Il kire si associa all’ikebana, l’arte di recidere i fiori, molto amato dagli appassionati del genere. In questo contesto i fiori vengono elaborati in modo da assumere l’aspetto di un’espressione personale.

Le parti eliminate hanno però anch’esse una loro rilevanza in quanto concorrono a esprimere la piena bellezza del fiore e, visto da un punto di vista buddista, consentono di togliere il superfluo al fine di vivere nell’essenziale.

Kire abbraccia anche l’impermanenza perché sottolinea come alcune parti, sebbene prima fossero necessarie, con il tempo potrebbero diventare obsolete o intralcianti al nostro cammino spirituale.

 

YOAKU-NO-BI

L’allusione potrebbe essere la traduzione di yoaku-no-bi secondo il pensiero zen che rimanda ancora una volta al nulla e quindi a tutto ciò che non è rappresentabile.

Un altro significato è quello utilizzato nel Medioevo in riferimento ai giardini sguarniti di fiori o gingilli che sottointendeva un uso di spazi vuoti e soggetti incolori.

Una sorta di “bellezza della pochezza” che andava a contrastare con il lusso e l’ostentazione, strenui oppositori dei principi dell’estetica giapponese.

 

giardino giapponese

 

JO A KIU

La parola jo a kiu rappresenta un’idea astratta applicata a diverse arti giapponesi tra cui il teatro, la musica, la cerimonia del tè, eccetera, e sintetizza la coreografia del movimento.

Solo per la musica indica un ritmo continuo, quasi monotono, totalmente avulso dalla nostra concezione di note e pause, mentre per le altre arti è un susseguirsi di momenti che vanno dal lento al veloce, per concludersi in rapidità.

L’idea rimane comunque la stessa: trovare, attraverso una serie di movimenti, un andamento che sia armonico e coerente al momento presente.

 

YUGEN

Paragonando il termine yugen a un vocabolo di forte astrazione occidentale potremmo usare il concetto junghiano di simbolismo inconscio, un qualcosa, quindi, di insondabile e imperscrutabile.

Il fascino del mistero e di tutto ciò che non può essere spiegato a parole ma che possiede, in realtà, una forte impressione a livello inconscio. Nel teatro No la parola indica, invece, la grazia dei movimenti, frutto di anni di esercitazione e fatica.

Il lato oscuro di ciò che appare naturale ma in realtà è sinonimo di sfiancante allenamento e feroce precisione.

 

Consigli di lettura per approfondire:

Gli spiriti guida della natura Nat sono una testimonianza dell’antico legame suggellato fra gli uomini e la nostra Madre Terra. Il popolo birmano teneva molto a questo rapporto tanto da conservarlo fino ai giorni nostri.

Fu il re Anawrahta di Bagan a fondere la religione buddista con la venerazione dei Nat proprio per non cancellare le radici spirituali del suo amato popolo. 

Chi sono i Nat?

 

I Nat sono dei personaggi realmente vissuti e morti in circostanze atroci che si sono trasformati nei guardiani della Natura. Per questo mal tollerano chi non sa rispettarla perché lo vivono come un nuovo affronto personale. 

Si nascondono all’interno degli alberi, nell’acqua o nelle rocce e indispettiscono chi crea loro disturbo. In totale sono 37 anche se inizialmente erano molti di più e superavano il centinaio.

Anticamente, infatti, ogni villaggio aveva diversi Nat che difendevano il raccolto, favorivano le piogge e ostacolavano le inondazioni o proteggevano gli abitanti a fronte di un’offerta di cibo.

Tale credenza ha favorito finora il mantenimento della forestazione e ha impedito alle multinazionali di sfruttare i territori birmani a loro piacimento e stretto guadagno.

 

buddismo e spiriti nat

 

Perché gli spiriti guida della natura Nat hanno subito una morte tragica?

 

A causa del loro patimento si sono meritati un posto d’onore nel ricordo della storia birmana proprio come i nostri santi cattolici. Ogni persona si può ispirare a uno dei Nat tenendolo come riferimento e spirito guida nel superare le avversità della vita. Possono venerare uno o l’altro in base alle proprie necessità traendo supporto spirituale e mantenendo in vita le proprie radici culturali. 

Essendo parte integrante della storia birmana non possono essere semplicemente cancellati dal tempo ma persistono nella mente degli uomini a monito del futuro.

Rivestono un’importanza sociale soprattutto nelle aree urbane dove si eseguono festival propiziati da una sorta di medium, conosciuti come Nat Kadaw interpretandone l’essenza. 

Quale utilità hanno gli spiriti guida?

 

Molte credenze antiche di stampo sciamanico o animista riconoscono nella natura degli abitanti spirituali che si dedicano alla sua conservazione. Anche in Europa, prima che la religione cattolica spazzasse via con violenza le pratiche pagane, il bosco e la Natura venivano rispettate adorate. 

Mi vengono in mente le molte leggende legate al fiume Piave e ai vari spiriti che lo accudivano contro le malefatte degli uomini, per esempio.

Si riconosceva alla terra e agli altri elementi naturali la capacità di generare vita o di creare morte. Per questo motivo venivano fatte offerte dagli uomini affinché gli spiriti, che in essa abitavano, potessero intercedere per loro. 

È un peccato che si conservi ben poco di questa antica tradizione potrebbe risultare utile in questo momento storico in cui stiamo vivendo una sorta di necessario avvicinamento alle esigenze della Natura. 

Ridimensionerebbe la nostra presenza e ci renderemmo conto della benevolenza della nostra Madre Terra. Affidarsi a uno spirito guida, che ben sa di quale essenza sia fatto il mondo, ci aiuterebbe a superare quei dilemmi esistenziali che tanto ci tormentano. 

I Maya ci consigliano di affidarci ai nahuales mentre i Romani riconoscevano il Genius Loci. I greci o i celti avevano inventato moltissimi personaggi legati all’universo naturale come le ninfe, i folletti, gli gnomi, le driadi, eccetera.

Un sapere diventato evanescente ma sempre pronto a rivelarsi a chi lo vuole ascoltare. E tu sei pronto a tendere l’orecchio a questo mondo misterioso?

Quando tutto è silenzio le cose cominciano a parlare;
pietre, animali e piante diventano fratelli e sorelle e comunicano ciò che è nascosto.

La salutare colazione giapponese affascina per l’accostamento di sapori così diversi fra loro che non siamo soliti gustare. Le regole ferree della cucina tradizionale impongono un assortimento variegato al fine di non annoiare il palato. 

L’unica difficoltà che potremmo riscontrare nella preparazione delle pietanze sarà reperire tutti gli ingredienti, per questo dovremo premunirci in tempo.

A tale proposito ti consiglio di dare un’occhiata ai negozi etnici della tua città o di chiedere informazioni al tuo ristorante sushi di fiducia.

Salutare colazione giapponese

 

Perché all’inizio dell’articolo ho usato l’aggettivo salutare accostato alla colazione giapponese? Perché la maggior parte degli ingredienti sono composti da proteine velocemente assimilabili che donano un senso di sazietà senza appesantire il processo digestivo.

La preparazione dei piatti non è difficile e neanche troppo impegnativa e soprattutto può essere preparata in grandi quantità per averne a disposizione per diversi giorni.

Secondo le regole classiche della tradizione giapponese i pasti si consumano seduti su un cuscino posizionato sopra il tatami, con un tavolino davanti ove appoggiare un vassoio.

 

Sopra il vassoio ci andranno delle ciotole di varie forme e dovranno seguire una logica ben precisa:

 

  • mai posizionare sulla stessa linea due ciotole con la stessa forma (tonda + tonda, ad esempio) ma alternare;
  • il riso si posiziona a sinistra, la zuppa a destra, le bacchette davanti al commensale con la punta rivolta verso sinistra appoggiate a un sostegno;
  • dentro la ciotola rotonda ci vanno degli ingredienti quadrati o rettangolari e viceversa;
  • le bacchette non devono mai puntare verso una persona;
  • gli ingredienti seguono dei concetti cromatici e la stagionalità.

 

L’etichetta giapponese richiede un rituale molto complicato che si sta perdendo a causa dei ritmi di vita sempre più sostenuti e l’influenza della cultura occidentale. Rimane comunque piacevole spaziare ogni tanto nella tradizione per non perdere le radici culturali di un popolo.

 

scritta in giapponese del wabi sabi, salutare colazione giapponese

 

Quali ingredienti troviamo?

 

Diciamo subito che la colazione non discosta molto dagli altri pasti principali della giornata infatti tra gli ingredienti troviamo il riso con fagioli, la zuppa di miso, il salmone o lo sgombro, i sottaceti e una specie di omelette chiamata Tamagoyaki.

Le porzioni non sono abbondanti, data la varietà dei piatti proposti, ma contribuiscono comunque ad alzarsi dalla tavola belli pienotti e soddisfatti!

Il riso è cotto a vapore e accompagnato ai fagioli di soia fermentati, conosciuti come Nattō oppure ai fagioli rossi varietà azuki. Il salmone o sgombro sono serviti crudi come sashimi, grigliati o affumicati. 

La zuppa di miso si presenta all’interno di una ciotola di legno laccato chiusa da un coperchio. Va bevuta portando la ciotola vicino alla bocca mentre i pezzetti di alghe e tofu nel fondo vanno presi con le bacchette.

zuppa di miso fotoL’omelette Tamagoyaki è vuota durante la colazione, ripiena se consumata come street food. La scelta del ripieno varia a seconda dei gusti e del luogo. 

Infine, se c’è ancora posto, rimangono i sottaceti di daikon, prughe, zenzero, eccetera. Anch’essi si usano in accompagnamento al riso.

 

Come preparare la zuppa di miso?

Il miso nasce dalla fermentazione dei semi di soia salati e il fungo Koji, viene poi aggiunto al brodo arricchito di alga wakame, pezzetti di tofu e alcune foglie di verdure. Il gusto è delicato e sapido allo stesso tempo mentre le verdure e il tofu mitigano l’effetto untuoso del brodo.

 

Come preparare i Tamagoyaki per la salutare colazione giapponese?

La ricetta è molto semplice, gli ingredienti invece sono difficili da reperire. Ma proviamoci lo stesso! Ti servono:

4 uova, 1 cucchiaio di zucchero di canna, 2 cucchiai di brodo dashi, salsa di soia a piacimento.

 

Il procedimento segue i seguenti passaggi:

I tamagoyaki pronti per essere mangiati!Sciogliere lo zucchero nel brodo, aggiungere qualche goccia di salsa di soia e aprire le uova. Mescolare il tutto e cuocere in una padella a fuoco lento fino a formare una frittata. 

Arrotolare verso sinistra la frittata e mettere sulla padella un altro quantitativo di impasto per creare una nuova frittata. Continuare in questo modo fino all’ultima. 

Se il procedimento riesce difficile appoggiare le frittate sopra un tappetino di bambù e ripiegarle tutte assieme come quando si fa il sushi fino a formare un singolo rotolo. Il rotolo così formato va tagliato in pezzi da 5 centimetri circa e serviti caldi ai commensali. 

 

Per conoscere altri piatti della cucina giapponese ti consiglio il libro “Il Giappone in Cucina” di Graziana Canova Tura, io lo sto leggendo adesso e sto trovando dei spunti veramente interessanti per avvicinarmi alla tradizione culinaria del Sol Levante. 

Fra le ricette del mondo mescoliamo la cucina indiana e mediorientale cucinando il cavolfiore con zenzero, dhal e pane pitta. Come mai questo accostamento geografico? Perché il pane pitta si abbina perfettamente al cavolfiore, alle lenticchie decorticate e alle spezie indiane.

La preparazione è più che mai attuale, date le temperature che non accennano a scendere e lo zenzero, essendo un disinfettante naturale, aiuta in caso di raffreddori o raffreddamenti, non solo per la guarigione ma anche per la prevenzione.

Ingredienti cavolfiore con zenzero:

 

  • 1 cavolfiore;
  • zenzero fresco già sbucciato, un pezzo;
  • 1 cipolla tagliata a fette;
  • 1 patata lessata;
  • 100 ml di acqua tiepida;
  • succo di limone, un cucchiaio;
  • sale e pepe q.b.;
  • 8 cucchiai di olio di oliva;
  • spezie: un cucchiaino di curcuma e uno di garam masala.

Preparazione

Tagliare il cavolfiore in pezzi piccoli e cospargere sopra il succo di limone fresco. Frullare lo zenzero con un po’ di acqua e aggiungere la curcuma e il garam masala. Il garam masala è un mix di spezie tra cui figurano coriandolo, cardamomo, cumino, cannella, chiodi di garofano, pepe nero e curcuma.

Rosolare la cipolla in una padella con l’olio e una volta che sarà appassita aggiungerci il cavolfiore e la patata tagliata a dadini e già lessata.

Aggiungere l’acqua a coprire gli ingredienti e l’impasto di zenzero con le spezie. Aggiustare di sale e pepe e aggiungere le spezie assaggiando di tanto in tanto.

Lasciare cuocere il cavolfiore per circa 25 minuti coprendo con un coperchio fino a che raggiungerà la consistenza desiderata (non troppo molliccia) e il liquido non sarà stato assorbito.

Il risultato finale non deve risultare troppo secco ma neanche troppo liquido. Servire con il pane pita e una porzione di dhal.

 

dhal con il cavolfiore con zenzero

Ecco come si presentano le lenticchie decorticate e cotte

Ingredienti per il dhal:

 

  • 200 grammi di lenticchie decorticate;
  • ½ litro di acqua;
  • dado naturale di verdure;
  • 1 zenzero;
  • 1 carota;
  • 1 scalogno;
  • 2 cucchiai olio di oliva extravergine;
  • spezie: 1 cucchiaio di curcuma, 1 cucchiaio di curry, prezzemolo o coriandolo a piacimento;
  • pepe e sale q.b.

Preparazione dhal da aggiungere al cavolfiore con zenzero

Far rosolare in una pentola lo scalogno e lo zenzero con due cucchiai di olio extravergine. Quando sarà ben appassito aggiungere l’acqua, le lenticchie decorticate, la carota e insaporire con il dado naturale di verdure.

Quando l’acqua inizierà a sobbollire aggiungere la curcuma e il curry che farà assumere alla pietanza un vivido colorito giallo. Aggiustare di sale e pepe, se necessario, e lasciare cuocere per altri 10 o 15 minuti.

Alla fine quando l’acqua si sarà completamente rappresa aggiungere a piacimento il prezzemolo o il coriandolo.

Il dhal può essere servito così oppure frullato in modo da ottenere una salsa di accompagnamento al cavolfiore. Per la ricetta del pane pitta invece ti consiglio di guardare la preparazione completa a questo link.

Ti consiglio di preparare contemporaneamente le varie pietanze in modo da sederti a tavola e gustare simultaneamente il cavolfiore con zenzero, dhal e pane pita.

Invochiamo la ricetta dei biscotti della fortuna per trascorrere un 2023 all’insegna dei viaggi, visitando i luoghi più sognati e desiderati.

Si tratta di un’usanza tipica dei ristoranti cinesi quella di servire, a fine pasto, dei biscottini che racchiudono all’interno dei messaggi profetici. Potresti utilizzare anche tu questo espediente nelle cene con gli amici.

All’interno puoi racchiudere delle frasi relative al mondo dei viaggi e ricordare, quindi, ai tuoi commensali quanto sia bello viaggiare e i benefici che ne ricevi. Al termine della ricetta ti lascio anche qualche aforisma da cui trarre ispirazione. Ti auguro un buon viaggio e che duri tutto l’anno!

Ingredienti ricetta dei biscotti della fortuna:

 

  • 75 grammi di farina di riso e altrettanto di farina 00;
  • 20 grammi di amido di mais (maizena);
  • 110 grammi di zucchero semolato;
  • Un cucchiaio di olio di oliva;
  • un cucchiaino di acqua naturale;
  • 75 grammi di albume;
  • Alcune gocce di essenza di cannella o di vaniglia secondo i gusti.

 

Preparazione:

 

Dividere gli albumi dal tuorlo e versarli in una ciotola assieme allo zucchero semolato. Iniziare a sbattere il composto con la frusta e fermarsi prima che questo sia montato a neve.

Mescolare quindi per un minuto e poi aggiungere l’olio di oliva e l’essenza desiderata all’impasto. In un’altra ciotola setacciate la maizena e la farina 00. 

Ora sarà arrivato il momento di aggiungere le farine al composto, che nel frattempo si sarà riposato. Introdurre lentamente e continuando a mescolare gli ingredienti fino a che l’impasto non si sarà perfettamente amalgamato.

A questo punto aggiungere il cucchiaino d’acqua e controllare che l’impasto rimanga comunque denso. La ricetta permetterà di creare all’incirca 12 biscotti.

Accendere il forno e portarlo alla temperatura di 170 gradi. Nel frattempo prepara la teglia che finirà all’interno foderandola con della carta forno oppure utilizza un comodo tappetino in silicone, se ne possiedi uno. 

Con attenzione versa il composto in modo omogeneo affinché non si formino dei buchi. L’intenzione è quella di formare un cerchio di circa 10 centimetri. 

foto di due biscotti della fortuna

L’aspetto una volta cotto è questo

Potrebbe essere utile tenere a portata di mano una sac à poche. Continua a formare i cerchietti fino all’esaurimento dell’impasto. Se la teglia o il tappetino sono troppo piccoli, cucinane solo due o tre alla volta.

L’importante è non tenere più di 10 minuti la cottura con un forno statico, 8 con un forno ventilato. Controlla comunque il colore del biscotto che deve risultare dorato il bordo e la superficie giallina.

Quando saranno sfornati e ancora caldi girali dall’altro lato e inserisci il bigliettino al centro. Avvicina i lembi esterni senza romperli e uniscili delicatamente.

Per fare in modo che mantengano la posizione e non si aprano puoi inserirli all’interno di tazzine, contenitori oppure stampi per muffin in silicone. Lascia il tempo che si raffreddino, calcola circa un ora, dipende dalla stagione e servili ai tuoi ospiti. 

 

E dopo la ricetta dei biscotti della fortuna alcuni aforismi sui viaggi:

 


La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada.

La vita stessa è un viaggio da fare a piedi.


Quando si sta bene nella propria pelle,

viaggiare è solo stare altrove,

non è più essere lontani.


Il gesto più difficile del viaggiare 

é il primo che si fa, ossia,

mettere i piedi fuori di casa.


Chi viaggia ha scelto come mestiere quello del vento.


Viaggiando alla scoperta dei paesi

troverai il continente in te stesso.


Non andare dove il sentiero ti può portare;

vai invece dove il sentiero non c’è ancora

e lascia dietro di te una traccia.


Il viaggio: un partire da me,

un infinito di distanze infinite

e un arrivare a me.


La vita è ciò che facciamo di essa.

I viaggi sono i viaggiatori.

Ciò che vediamo non è ciò che vediamo,

ma ciò che siamo.


La nostra natura consiste nel movimento,

la calma completa è la morte.


Più i viaggi sono lontani, più si entra nel mondo.


Nei miei viaggi non ho trovato risposte, solo meraviglie.


Vorrei sempre essere altrove,

dove non sono, nel luogo dal quale sono or ora fuggito.

Solo nel tragitto tra il luogo che ho appena lasciato

e quello dove sto andando io sono felice.

Sei pronto/a a gustare una ricetta thailandese? Sto parlando del Mango sticky rice, un dessert fresco perfetto per questa torrida estate. Inoltre, la ricetta è anche piuttosto economica e necessita di soli quattro ingredienti (in realtà cinque).

Vuoi sapere quali sono? Te lo dico subito. Ma tu intanto prendi carta e penna!

Ingredienti per il Mango sticky rice

 

  • 100 grammi di riso comune o integrale;
  • 2 manghi;
  • 200 ml di acqua temperatura ambiente;
  • 1 lattina di latte di cocco;
  • 2 o più cucchiai di zucchero;

Procedimento

 

Tagliare il mango all’altezza del nocciolo, togliere completamente la buccia e dividerlo in tanti piccoli quadratini che dovranno rimanere attaccati al centro.

Mettere da parte e procedere alla preparazione del riso.

mango sticky rice

Lasciare il riso riposare nell’acqua all’interno di un recipiente di plastica per almeno un’ora in modo che l’amido fuoriesca e diventi appiccicoso.

Terminato il tempo di riposo porre il riso in una vaporiera. Calcola un tempo di circa 12/13 minuti da quando inizia l’acqua a bollire. Segui le indicazioni di tempo segnalate nella confezione del prodotto.

Mentre il riso termina la sua cottura, versare il latte di cocco all’interno di un pentolino e portarlo ad ebollizione aggiungendo lo zucchero. La quantità di zucchero può variare in base ai gusti personali ma consiglio una dose abbondante affinché si senta il gusto dolce.

Successivamente unire il latte di cocco dolce con il riso e lasciare che il liquido venga assorbito completamente. Calcolare un tempo di circa 15 minuti.

Tenere da parte una parte di latte e metterlo in una lattiera. Sistemare il riso in metà piatto liscio, aggiungere dall’altra parte il mango e aggiungere sopra un po’ di latte avanzato. Il piatto è pronto per essere gustato!

Assaggiandolo scoprirai che la dolcezza del riso si sposa alla perfezione con l’acidità del mango creando un contrasto di sapori piuttosto invitante.

 

Assieme potresti assaggiare dei gustosi cocktail

.Voglio lasciarti la recensione del libro “La mia lotta per la libertà” sulla Corea del Nord: un paese poco conosciuto e chiuso al turismo.

La Corea del Nord di oggi

 

Mi sento in dovere di scrivere del libro perché è toccante e sorprendente. Mentre le ultime notizie sulla Corea del Nord e i rapporti con la Casa Bianca vengono definiti “colloqui incresciosi ed estremamente preoccupanti” da parte dei primi, crescono le notizie di un regime autoritario e disumano.

Non solo il leader politico Kim Joung-un non ha nessuna intenzione di mollare il suo arsenale bellico ma tiene in pugno anche i suoi concittadini con l’oppressione da quando la Russia ha lasciato il suo dominio.

È dal 15 agosto 1945 che la dinastia di Kim Il-sung sottomette il paese dopo aver guidato l’Esercito Rivoluzionario Popolare Coreano (ERPC) per la resistenza all’occupazione giapponese.

Dagli anni Novanta lo stato, abitato da 24 milioni di persone, ha subito un collasso a causa delle calamità naturali e in particolare dalla siccità che non smette di creare danni ai raccolti.

La storia di Yeonmi P 

 

La protagonista e autrice del libro subisce minacce da parte del governo nordcoreano per la pubblicazione del libro e le sue interviste ai media. Nel libro ha raccontato la miseria che ha vissuto da piccola e la sua rocambolesca fuga attraverso il confine cinese e mongolo.

“I miei genitori non riuscivano a dormire: avevano il terrore che non si sarebbero più svegliati e che le loro figlie sarebbero morte di fame. Di nuovo, quando la notte si mettevano a letto, restavano svegli a domandarsi come fare per tenerci in vita”.

Ha dovuto usare dei nomi fittizi per salvaguardare l’incolumità delle persone citate nel libro. Ma lei continua la sua propaganda di informazione. Il suo obiettivo è far conoscere al mondo la situazione disperata nella quale vive il popolo nordcoreano cercando di fare presa sulla coscienza delle persone.

 

disegno di mano aperta e farfalle che volano via recensione del libro la mia lotta per la libertà

La politica coreana (recensione del libro la mia lotta per la libertà)

 

La Corea del Nord è uno stato socialista di facciata perché in realtà vive sotto un regime autoritario che non permette alle persone di essere libere di pensare né di muoversi. Chi decide di ribellarsi alle leggi finisce immediatamente in un centro rieducativo e costretto alla fame fino quasi allo sopraggiungere della morte.

Ci sono delle gerarchie sociali ma a volte si scende di valore se si è condannati come ribelli, rivoluzionari o nemici del governo. In quel caso in un solo attimo si può perdere tutto ciò che si è costruito in una vita.

Non si può parlare in negativo del leader Kom Joung-un ma deve essere venerato come un Dio. La religione è l’amore verso il proprio capo politico.

Ogni notizia estera è vietata e quindi la popolazione crede alle storie che gli vengono raccontate. Quali sono? I media dicono che la Corea del Nord è uno degli stati più ricchi.

 

“In Corea del Nord al governo non basta controllare dove vai, che cosa studi, dove lavori e ciò che dici. Ti controlla anche attraverso le emozioni, rendendoti sottomesso allo stato e distruggendo la tua individualità. Distrugge anche la tua capacità di reagire alle situazioni sulla base della tua personale esperienza di vita”.

 

La rivale Corea del Sud viene dipinta come una terra abitata da persone disdicevoli, malevole e ignoranti. In contrapposizione, gli Stati Uniti vengono usati nei compiti di scuola per insultarli e denigrarli.

 

“Ti insegnano a odiare i nemici dello stato con una passione bruciante”.

 

I nord coreani, quindi, vivono nell’illusione che la loro patria sia una terra gloriosa e che il loro leader sia un uomo carismatico e divino, pertanto faticano a immaginare un mondo diverso da quello in cui sono nati.

Ma i giovani che riescono a ottenere notizie dalla Cina vedono una realtà completamente diversa. Per questo vogliono scappare e l’unico modo per farlo è attraversare il fiume che li separa dalla Cina e attraversare la Mongolia o altri paesi asiatici.

 

“Gli scolari non si limitano a studiare. Fanno parte della forza lavoro non pagata che aiuta il paese a non crollare del tutto”.

 

Recensione del libro “La mia lotta per la libertà”

 

Questo è ciò che ha fatto l’autrice raccontando dei dettagli agghiaccianti perché, se ci sono delle persone disposte ad aiutarti a superare il confine, ci sono altrettanti sfruttatori pronti a guadagnare sulla tua fuga.

Non voglio svelarti troppo il resoconto. Ti consiglio solo di leggere il libro per comprendere l’attuale situazione di uno stato fin troppo sconosciuto. Proprio per questo motivo ho voluto lasciarti la recensione del libro “La mia lotta per la libertà“.

Oggi Yeonmi P. si è laureata in legge ed è diventata, suo malgrado, la paladina dei diritti dei nord coreani e si batte affinché l’opinione pubblica mantenga l’attenzione costante sulla drammatica situazione della sua terra natale.

Non possiamo permetterci di chiudere gli occhi di fronte a queste realtà anche se non ci toccano da vicino perché siamo tutti esseri umani e ognuno merita la sua fetta di libertà.

 

“Il vero punto di svolta lo raggiunsi con la scoperta della “fattoria degli animali” di George Orwell. Fu come trovare un diamante in una montagna di sabbia.

Sembrava che Orwell sapesse esattamente da dove venivo e cosa avessi passato. Rappresentava la Corea del Nord e lui aveva descritto la mia vita. Riconobbi la mia famiglia negli animali. Io ero come i “nuovi maiali” senza idee.

Ridurre l’orrore della Corea del Nord a una semplice allegoria annullò il potere che esercitava su di me. Aiutò a rendermi libera”.