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Il cheeseburger vichingo più famoso della storia è quello venduto da McDonald’s, l’ultimo anno in cui il locale è stato in Islanda. Per la precisione, la sera di Halloween del 31 ottobre 2009, un consumatore del noto locale americano ha pensato di acquistare del cibo.

Ha dunque ordinato un classico cheeseburger accompagnato da una scatola di patatine fritte. Però, non l’ha mangiato, bensì conservato. Tutt’oggi si trova ancora esposto in una teca.

 

Ultimo cheeseburger vichingo

 

L’ultimo cheeseburger vichingo: ne resta solo uno!

 

Lo sperimentatore è un certo Hjortur Smarason, il quale vanta uno spirito curioso e dedito agli esperimenti. Non a caso, è il responsabile delle comunicazioni in un’azienda che si occupa di turismo spaziale, e quindi abituato a sfide impossibili.

La notte di Halloween del 2009 decise di andare al McDonald’s per comprare una combinata di cheeseburger e patatine fritte, ma non per mangiarle, poiché voleva testare se le dicerie in fatto dei prodotti della linea fossero veritiere.

Difatti, si racconta spesso che gli alimenti venduti dalla società americana siano indistruttibili e imputrescibili. E la compagnia avrebbe abbandonato presto il paese, chiudendo tutte le sue attività.

Quindi ha conservato per dieci anni il panino e le patatine fritte nel garage di casa sua per poi essere spostato al Museo Nazionale islandese. Infine, è stato collocato a Snotra House, un ostello che si trova nella città di Thykkvibaer.

Piccola digressione: un altro museo interessante islandese è quello della stregoneria, anch’esso da non perdere.

Ovviamente, entrambi gli alimenti sono rinchiusi all’interno di una teca ed è proprio questo il segreto della loro longevità. Tutti i cibi conservati in assenza di umidità mantengono intatte le loro proprietà organolettiche.

In più, si rallenta all’estremo il processo di decomposizione.

 

Patatine fritte

 

Altri casi in cui il panino non ammuffisce

 

Quello islandese non è un caso isolato. Difatti, altre persone hanno tentato lo stesso esperimento. Per esempio, su YouTube si può trovare il video in cui Len Foley mostra degli hamburger conservati da circa vent’anni.

E come lui, molte altre persone hanno documentato la conservazione. Tuttavia, si tratta di una notizia manipolata, in quanto diversi scienziati hanno testato diverse marche ottenendo il medesimo risultato.

Questo perché non c’entrano i danni di una cattiva alimentazione, bensì la capacità degli alimenti tenuti chiusi di trattenere l’acqua, e quindi di lasciare andare l’umidità molto lentamente.

Poi sui gusti personali non si discute, ma non rischiamo la salute se ci gustiamo un panino da McDonald’s!

Incontrarsi a Villa Diodati per alcuni scrittori ha significato regalare al mondo dei capolavori letterari di genere horror gotico. Da un punto di vista editoriale, l’incontro più caldo ha segnato l’inizio di filoni letterari piuttosto promettenti.

Benché, per comprendere il tracciato, dobbiamo partire da un affitto siglato nell’estate del 1816 a Cologny, in Svizzera, laddove l’amato e odiato – in patria – Lord Byron ha preso in consegna le chiavi dell’edificio.

Incontrarsi a Villa Diodati (e per fortuna!)

 

Lord Byron partì alla volta della Svizzera in compagnia del suo medico personale: il Dottor John William Polidori, il quale manco a dirlo aveva delle forti velleità autoriali.

Nondimeno, si aggiunsero il poeta Percy Bysshe Shelley accompagnato dalla diciannovenne Mary Wollstonecraft Godwin che diventerà la coniuge Mary Shelley.

Assieme a loro giunse Clara Mary Jane Clairmont, la sorellastra di Mary,  già incinta della figlia del padrone di casa che porterà il nome di Allegra.

In realtà, il gruppo Shelley aveva affittato una villa vicino a quella di Lord Byron e quindi non rimasero affittuari lì, bensì vi soggiornarono in tutto solo tre giorni.

Furono abbastanza però per partorire storie dal sapore macabro e dai toni orrorifici. A spiccare fra tutti furono due opere che nel corso del tempo diventarono leggendarie.

Stiamo parlando di “Frankenstein, o il moderno Prometeo” uscito dalla penna di Mary Shelley e “Il Vampiro” di Polidori. Il secondo romanzo non sortì un grande riconoscimento letterario fin dagli arbori, ma servì da apripista al più celebre racconto di “Dracula” di Bram Stoker.

Difatti,  il romanzo di Polidori venne attribuito in prima istanza a Lord Byron e ci volle del tempo prima che fosse accreditato al vero autore.

 

Polidori incontrarsi a Villa Diodati

 

La versione Polidori: il vampiro prende forma

 

Polidori era un secchione e divenne medico con una tesi incentrata sul problema del sonnambulismo. Suo padre era di origini italiane, e segretario personale di Vittorio Alfieri; mentre la madre era di origini britanniche.

Fu proprio nel 1816 a diventare il medico personale di Lord Byron seguendolo nella prima parte del suo viaggio in Europa. Quando giunse a Villa Diodati, presso il Lago Lemano in Svizzera, si acclimatò in compagnia degli amici del suo datore di lavoro.

Leggendo i racconti dal libro Fantasmagoriana, in una notte di giugno, il padrone di casa partorì l’idea di creare dei racconti sui fantasmi, anche se poi presero dei connotati differenti.

Il libro di Polidori caricato dalla figura del Vampiro si rifaceva all’identità di Byron. Un nobile ambiguo e colto, dai modi raffinati, di nome Lord Ruthven soggiogava le giovani fanciulle fino a trasformarle in vampiresse.

Ovviamente, nessuno dava la colpa al signore in questione, proprio perché fuori radar da qualsiasi sospetto.

La descrizione del personaggio letterario ricalca alla perfezione l’atteggiamento di Byron e crea un alone nuovo intorno al grezzo personaggio del vampiro tipico del folklore. Infatti, non dimentichiamo che Byron era sposato ma mise comunque incinta la giovane Clara.

Tuttavia, prima di uscire il racconto dovette attendere il 1819 quando venne pubblicato con il nome errato dell’autore Lord Byron nel New Monthly Magazine. Vani furono i tentativi dello stesso per attestare la giusta paternità e per un lungo periodo il racconto rimase con la firma sbagliata.

Purtroppo, Polidori si suicidò nel 1821 dopo aver visto sfumare la sua carriera letteraria e quella ecclesiastica che gli causò una forte depressione.

Finalmente, nel 1911 il nipote di Polidori riuscì a pubblicare il diario lasciato dallo zio in cui raccontava numerosi aneddoti inerenti al viaggio fatto in compagnia di Lord Byron tra cui figurava anche il ricordo della stesura del racconto.

Alnwick Castle si trova in Inghilterra ed è conosciuto per avere al suo interno un giardino che conserva le piante più velenose al mondo. Difatti, si conosce con il nome generico di Alnwick Garden, sebbene sia più noto il punto di riferimento del castello.

In origine, il giardino venne realizzato per volere dei duchi di Northumberland a scopo ricreativo. Mentre invece, la svolta nella coltivazione risale a tempi più recenti, ossia al 2005.

L’intenzione di creare questo particolare tipo di raccolta velenosa non è stata fatta per scopi malefici, bensì per educare le persone alla pericolosità di alcune piante, le quali se non conosciute e maneggiate possono portare a risultati nefasti.

Inoltre, la collezione di piante contiene anche elementi narcotizzanti come la cannabis, i papaveri da oppio e la coca, al fine di sensibilizzare all’uso delle droghe, in particolare riferimento alle sue conseguenze.

 

pianta di cicuta al Alnwick Castle

 

Alnwick Castle: un viaggio tra le piante velenose e mortali

 

Il Castello di Alnwick è famoso per aver rivestito un ruolo essenziale nella saga di Harry Potter. Difatti, la sua figura è servita per ricreare il Castello di Hogwarts, dove giovani streghe e stregoni preparano il loro futuro accademico a suon di formule magiche.

La sua prima apparizione risale al 1096 per opera di Yves de Vescy, l’allora barone di Alnwick. Oggi è tutt’ora abitato dai duchi di Northumberland ed è aperto al pubblico in estate su prenotazione.

Di fianco al castello troneggia il celeberrimo Alnwick Garden fondato dalla duchessa Jane di Northumberland,. Risulta essere il terzo parco più visitato in Inghilterra ed è suddiviso in un normale giardino all’inglese con una fontana a cascata, e una parte riservata alle piante tossiche.

In più, si trova la serra più grande al mondo che comprende una superficie totale di cerca 560 metri quadrati.

Le piante velenose che si possono trovare nel Poison Garden sono diverse. Tra queste figurano la cicuta, il ricino, la belladonna, il strychnos e la brugmansia, solo per citarne alcunie.

Per sottolineare la pericolosità del luogo nel cancello troneggiano due scritte a ripetizione su ciascun lato della cancellata: “These Plants Can Kill” correlate da un teschio a rimarcare il messaggio.

Gli uomini di ghiaccio appaiono all’improvviso in diverse culture locali, assumendo varie forme e differenti significati. Il capostipite di questi rinvenimenti è Ötzi del Similaun, l’uomo venuto dal ghiaccio.

Si tratta del corpo di un uomo preistorico mummificato rinvenuto pressoché intatto in Val Senales e ora conservato nel Museo Archeologico dell’Alto Adige a Bolzano.

Tuttavia, non è l’unica manifestazione degna di questo nome. Infatti, in Europa e nel mondo si susseguono apparizione di uomini di ghiaccio dai contorni sfuocati.

Uomini di ghiaccio: lo Yeti e i Miyagi

 

Tutti conosciamo lo Yeti, quel personaggio inafferrabile che vive in Tibet e appare talvolta ai viaggiatori in difficoltà. La sua indole non è crudele, purché venga lasciato in pace.

Difatti, assurge al ruolo di protettore della natura e del territorio che lo circonda. Intralciare il suo passo è indice di morte certa, pertanto fa attenzione a quale sentiero decidi di attraversare.

Sembra essere questa la morale della fiaba dello Yeti, il quale insegna agli sprovveduti ad avere rispetto per gli altri. Altrimenti, se non lo fanno, il prezzo da pagare sarà piuttosto alto.

E i Miyagi, cosa sono? In Giappone, ogni anno la neve ricopre gli alberi del Monte Zao. Tale copertura produce i mostri di neve, i quali diventano un’attrattiva turistica piuttosto visitata.

Da fine dicembre a metà marzo si possono incontrare questi personaggi umanizzati dagli occhi dei visitatori. Sebbene la realtà sia più prosaica.

Difatti, le goccioline di acqua si congelano per colpa delle spire gelide dei venti provenienti dalla Siberia. E quando nevica, la neve rimane attaccata realizzando dei giganti che appaiono antropizzati.

 

Uomini di ghiaccio e neve

 

Conosci i Santi di ghiaccio?

I santi di ghiaccio derivano dalla tradizione popolare, e si riferiscono a una strana anomalia del clima e, nello specifico, quando avviene un calo delle temperature durante la sesta settimana dall’equinozio di primavera (31 marzo).

Il fenomeno si verifica perlopiù in Europa centro-settentrionale nei giorni tra l’11, il 12, il 13 e il 14 maggio. A causa di questa situazione, i santi che popolano il calendario in quei giorni, ossia San Mamerto, San Pancrazio, San Servazio e San Bonifacio di Tarso sono diventati i Santi di ghiaccio.

Anche i proverbi sottolineano l’anomalia, consigliando per esempio in Veneto: ‘Magio par quanto belo, de giasso el ghi ne ga in serbo sempre on granelo‘, la cui traduzione è ‘Maggio, per quanto bello, di ghiaccio ne ha in serbo sempre un granello’.

 

pupazzo di neve

 

Il pupazzo di neve

E che dire del personaggio iconico del pupazzo di neve? Anche lui viene inserito tra gli uomini di ghiaccio? Nonostante il suo aspetto bonario, non si sa mai cosa aspettarsi da questo ominide.

Simboleggia il Natale, eppure la sua origine è nascosta tra le brume della storia. Secondo Bob Eckstein, l’origine di realizzare questi fantocci risale addirittura al Medioevo, sebbene il motivo sia tuttora sconosciuto.

Di sicuro c’è che la sua indole non dipende da lui, ma dalle mani che lo hanno forgiato. Lo stesso possiamo dire dei viaggi, i quali non hanno connotazioni negative se non quelle date dal nostro temperamento o umore talvolta funereo.

Perciò, parti con uno spirito leggero e soprattutto avventuroso, e vivi quei momenti come se fosse irripetibili.

Oppure, come dice il psicologo Viktor Emil Frankl: “Vivi il viaggio della vita come se l’avessi già fatto e ti fosse data la possibilità di rifare tutto di nuovo. Questa volta in meglio e al massimo delle tue possibilità“. Ti auguro un 2024 viaggiante, autentico e di rinascita.

Rosalia Lombardo è una bambina che ha abbandonato troppo presto il mondo terrestre per affidarsi alla cura degli angeli in cielo. Tuttavia, la sua mancanza è stata così gravosa e profonda per i genitori da averli spinti a fare un’azione considerata da alcuni inappropriata.

Difatti, la piccola Rosalia è stata imbalsamata e ora si conserva perfettamente uguale nella Catacombe dei Cappuccini a Palermo. La sua ‘tomba’ è visitabile, e ancora oggi sorprende per la sua intaccata giovinezza.

La piccola sembra quasi dormicchiare in un riposo eterno e senza tempo, laddove fuori vige la frenesia e il rumore. Invece, la sua presenza è fissa, a rincuorare la perdita dei suoi genitori, il cui dolore del distacco fu troppo straziante per essere affrontato.

 

La storia di Rosalia Lombardo

 

La vita della piccola Rosalia Lombardo si spense all’età di due anni, il 6 dicembre del 1920. Il dolore dei genitori fu devastante, tanto da indurre il padre Mario a richiedere l’intervento di Alberto Salafia.

Il professionista non fu ingaggiato per provare a rianimare il fragile cuoricino della piccola, bensì a renderle il riposo eterno senza che la sua fisionomia, né tanto meno il suo fisico vengano intaccati dal tempo.

Non a caso, Salafia era il più celebre imbalsamatore dell’epoca e il suo lavoro fu talmente impeccabile da risultare fresco ancora oggi. Infatti, la piccola dormiente è rinchiusa dentro una teca, all’interno della Catacombe dei Cappuccini nel cuore di Palermo.

La sua figura è a tratti perturbante, poiché si riconosce la sua forza vitale nonostante la posizione immutabile. A livello cognitivo, questa incoerenza crea una sorta di turbamento, causa della quale il padre venne criticato aspramente per la sua scelta.

Eppure, l’uomo non era pronto a lasciarla, e desiderava solo che la sua presenza fosse per sempre, lo doveva a quell’esistenza tanto fugace e poco combattuta.

macabro e morte

Catacombe dei Cappuccini a Palermo

 

La Catacombe dei Cappuccini si trova a Palermo, raggiungibile con i mezzi pubblici, sia con la metro sia con l’autobus. Il biglietto unico permette la visita alla teca di Rosalia Lombardo, nonché a tutti le altre mummie presenti.

Gli orari di visita sono dalle 09:00 alle 12:30 alla mattina, e alle 15:00 fino alle 17:30 nel pomeriggio. All’interno della struttura non è possibile fare foto, per non insultare il riposo dei morti e non è neanche possibile toccare i feretri.

La visita può sembrare macabra, tuttavia è foriera dei costumi palermitani in voga dal XVII al XIX secolo. Nondimeno, la mummificazione era una tecnica di lavorazione eseguita a regola d’arte in Sicilia, e molti rappresentanti divennero famosi in tutto il mondo proprio per la loro maestria.

Il luogo diventò tappa di intellettuali come Ippolito Pindemonte, il quale dedico alla Catacombe un versetto, ma anche artisti del calibro di Carlo Levi, Alexandre Dumas, Guy de Maupassant, eccetera.

Le mummie sono conservate in un clima mite per non rovinare la loro consistenza e le stanze buie accentuano l’alone funereo. Non è un luogo per tutti, ma solo di chi va oltre l’apparenza e volge lo sguardo a un passato dai risvolti culturali inaspettati.

 

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La domanda: “Qual è l’ombelico del mondo?” è ricorrente poiché vuole indicare l’origine del mondo e dell’umanità. Tuttavia, la risposta dipende dal punto di vista, ovvero dalla posizione geografica.

Infatti, la storia europea è ben diversa da quella americana, così come il suo sviluppo e la sua generazione geologica. Quindi, non può esistere una risposta univoca, bensì una teoria supportata dall’insieme di popolazioni che vivono sulla Terra.

L’ombelico del mondo – secondo i greci

 

Il termine “Ombelico del mondo” deriva dalla cultura greca, culla e centro dell’umanità (vista dalla nostra prospettiva europea). La parola deriva dal termine amphalos, ombelico appunto, il quale indicava una pietra conica.

La pietra non era posizionata a caso, bensì collocata dal Dio Apollo nel sepolcro del serpente. Infatti, secondo la mitologia greca, la divinità sconfisse un serpente, il quale aveva assunto le sembianze femminili per simboleggiare la Dea madre Gea.

Eliminando il culto del femminino, Apollo si era impossessato del tempio e imposto il suo dominio. Il luogo preposto al culto divenne Delfi, una città situata sulle pendici del monte Parnaso.

Il racconto è rilevante poiché sottintende il passaggio dal sistema matriarcale tipico del neolitico a quello patriarcale ancora oggi così diffuso.

Se invece facciamo dei passi indietro potremo indicare la Mezzaluna fertile come ombelico del mondo. Tuttavia, in quel periodo il significato di origine del mondo non era ancora stato inventato.

 

L'ombelico del mondo secondo diverse prospettive

L’origine del mondo – secondo le popolazioni indigene

 

Se andiamo a esplorare la dislocazione dell’ombelico del mondo, secondo le varie popolazioni scopriamo che per i francesi, l’origine del mondo non può che essere Parigi.

Per le popolazioni Maya in Messico, Chichen Ítza era il luogo in cui la civiltà mesoamericana ha avuto origine e da dove si è poi sviluppata in buona parte del Centro America.

Invece, gli Inca indicavano Cuzco come città di origine. Non a caso la traduzione del nome corrisponde esattamente al termine ombelico.

Potremmo continuare all’infinito, ripetendo costantemente lo stesso concetto: l’origine della vita si trova in corrispondenza dei confini nazionali, entro quello spazio in cui ciascuno di noi si sente a casa.

I luoghi del Graal sono le località in cui si presuppone possa essere nascosto agli occhi degli umani il Sacro Calice. Ma forse, in realtà, il calice non è poi così nascosto, bensì talmente visibile da diventare trasparente.

Difatti, queste sono le due supposizioni che accompagnano il mistero del Graal. Ciononostante, nessuno è ancora riuscito a districare il mistero, e quindi a rivelare se il Sacro Calice esiste, o se appartiene solo alla fantasia di qualche autore medievale.

Eppure qualcuno ha azzardato delle ipotesi, seminando qua e là delle informazioni. Il Santo Graal si troverebbe rinchiuso all’interno delle pareti ecclesiastiche, visibile solo ai puri di spirito.

I luoghi del Graal

 

La lista dei luoghi del Graal è variegata poiché le possibili località sono collocate un po’ in tutta Europa, nonché oltre i confini in cui si sono allargati i templari.

Nella Cattedrale spagnola di Valenza è conservato un calice che potrebbe essere il Santo Graal, custodito all’interno della Cappella del Santo Calice.

Sebbene il maggior credito venga dato alla cittadina di Glastonbury nel Somerset, in cui non solo si nasconde l’Isola di Avalon, bensì nel pozzo vicino all’Abbazia o addirittura sotto il Tor dovrebbe trovarsi anche il Graal.

Ma c’è anche chi sostiene che il Graal sia l’emblema del Zoroastrismo, e perciò venga conservato in Iran all’interno di una fortezza inaccessibile a Takht-i-Sulaiman.

La Cappella di Rosslyn a Edimburgo è un altro possibile nascondiglio del Santo Calice, occultato dai Templari francesi a seguito delle persecuzioni perpetrate da Filippo il Bello.

 

Luoghi del Graal in Italia

 

I luoghi del Graal in Italia

Il Santo Graal potrebbe nascondersi anche in Italia, in diversi luoghi sparsi lungo tutta la penisola. Il riferimento più accreditato è quello secondo cui il Santo Calice si nasconde all’interno di Castel del Monte, costruito da Federico II per contenere la reliquia.

Secondo le indiscrezioni, Federico II ricevette il calice da un Sufi, il quale glielo consegnò per salvarlo dall’impeto dei templari durante le crociate in Terrasanta.

Un’altra ipotesi è che il calice si nasconda a Bari, all’interno della sua famosa basilica. Infatti, la traslazione delle spoglie di San Nicola sarebbero un espediente per nascondere il vero Graal.

Alcuni collocano il Graal all’interno della Chiesa della Gran Madre di Dio a Torino. La collocazione esatta è il punto in cui lo sguardo della statua si sofferma. Ma nessuno ha ancora trovato il calice, neppure seguendo la direzione indicata.

 

la consegna del santo graal

 

Oppure il Santo Graal si trova in Francia?

Gli altri luoghi del Graal vengono indicati in Francia. Per esempio a Gisors, all’interno del castello situato nel dipartimento della Normandia. L’edificio era una fortezza dei Templari che nasconderebbe un tunnel segreto, scavato a dimora per il Graal dopo averlo recuperato in Terrasanta.

Malgrado ciò, a giudizio di molti il Graal è certamente conservato a Rennes-le-Château, tempio di molti reperti storici tra cui il Sacro Calice e i documenti comprovanti la successione dei figli di Gesù.

L’ultima ipotesi è che il Graal si trovi al castello di Montségur nella regione dei Midi-Pirenei, ben occultato dai catari durante l’assedio perpetrato dalla truppe cristiane.

La città sperimentale di Auroville in India è conosciuta anche con il nome evocativo di ‘Città dell’aurora’. L’idea della sua fondazione è stata partorita dalla mente di due mistici, molto noti per il loro attivismo spirituale.

Sto parlando di Sri Aurobindo e la moglie Mira Alfassa, conosciuta dai loro seguaci con l’appellativo di Madre. La loro intenzione era quella di dare vita a una comunità intenzionale in cui potessero convivere individui con idee e credi differenti e inconciliabili.

La comunanza si rende necessaria per realizzare una Unità Umana in cui cui sovraneggi l’armonia, il rispetto e la pace. Un microcosmo che possa fungere da esempio per il resto dell’umanità.

La città sperimentale di Auroville

 

Nel 1968 nasce la città sperimentale di Auroville, nello stato federato Tamil Nadu e, più precisamente, nel distretto di Viluppuram. A sviluppare l’urbanizzazione della città è stato l’architetto Roger Anger, di origini francesi come Mira Alfassa.

Per raggiungere la città ci si può affidare ai mezzi pubblici oppure ai taxi messi a disposizione direttamente dall’organizzazione privata di Auroville. L’aeroporto che copre la distanza minore dalla città è quello di Chennai International Airport.

Da qui si possono prendere i vari mezzi pubblici oppure richiedere il servizio in anticipo allo Shared Transport Service di Auroville, il quale farà trovare un tassista pronto a fare il tragitto dall’aeroporto ad Auroville.

Si può scegliere di fare un periodo di volontariato in città oppure proporsi per fare una semplice visita. Entrambe le esperienze sono propedeutiche al trasferimento definitivo alla città sperimentale.

Le domande più comuni inerenti al conglomerato urbano riguardano soprattutto i termini di accettazione. Ovvero, si vuole sapere se la città è aperta a tutti.

Auroville per rispondere alla questione ha stilato una carta dei valori, la quale sottoscrive:

  • la città appartiene agli abitanti e non a un’organizzazione privata;
  • per vivere nella città bisogna essere dei volontari della Coscienza Divina;
  • ad Auroville non si smette mai di imparare, di insegnare, di interagire gli uni con gli altri;
  • si tratta di un progetto sperimentale in cui si pongono le basi per un futuro comunitario radioso;
  • la sua componente essenziale è di ordine spirituale e la sua ricerca è l’Unità Umana.

 

Nella città vivono più di 2.000 abitanti e l’attrazione principale è il Matrimandir, un edificio con una cupola dorata in cui ci si ritrova a fare meditazione.

La visita della città richiede più di un giorno, minimo una settimana. Solo così si può entrare in sintonia con la comunità e scoprire il vero spirito sperimentale della città.

Possiamo dire che l’agglomerato urbano è un continuo work in progress, il quale non segue una direzione specifica, se non quella di formare una comunità unita e amorevole.

 

città sperimentale di auroville filosofia e spiritualità

 

Chi erano Sri Aurobindo e Mira Alfassa? 

Sri Aurobindo è stato un filosofo e un insegnante di yoga, il quale ha ideato il modello di yoga integrale. In giovane età si trasferì in Inghilterra dove poté accedere agli studi universitari. Entrò in contatto anche con il mondo della Teosofia, divenendone una sorta di mascotte.

Ma la sua autentica vocazione era quella di ritornare in India e battersi affinché potesse finalmente rendersi libera dalla dominazione britannica. Per questo ha combattuto molto a livello sociale e politico.

Mira Alfassa nacque a Parigi ma per tutta la sua vita fu abituata a viaggiare in tutto il mondo. Conobbe Sri Aurobindo nel 1920 e in lui vide in lui un maestro.  Così si fermò a Pondichéry, al tempo enclave dell’India francese, e insieme a lui gestì un ashram.

Negli anni Sessanta Mira ideò l’urbanistica e, in particolare, la planimetria per la città sperimentale di Auroville, dopodiché ne confinò le regole affinché diventasse un luogo di pace e di eterna armonia.

La città sperimentale di Auroville attraverso le parole di Sri Aurobindo:

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Il significato di Commonwealth è ‘benessere comune’ poiché deriva dall’unione delle parole inglesi common + wealth. Si tratta di un’organizzazione intergovernativa in cui rientrano 56 stati indipendenti.

Questo dettaglio è molto importante, perché spesso si pensa al Commonwealth come all’insieme delle colonie inglesi ma ciò non è corrisponde alla realtà.

Gli stati appartenenti al Commonwealth sono delle ex colonie oggi indipendenti dalla corona, tranne Togo, Mozambico, Gabon e Ruanda. L’organizzazione venne fondata su base volontaria e risponde a diverse funzioni.

Significato di Commonwealth

 

Il termine nasce dal pensiero di Lord Rosebery quando andò in visita nel 1884 in Australia. Secondo lui, l’imperialismo britannico stava lasciando spazio a un respiro di maggiore indipendenza. Per illustrare la situazione usò la frase “Commowealth di nazioni” come se fosse un pennello.

In tale ottica di separazione, le ex colonie britanniche non persero i contatti con l’impero ma anzi sottolinearono un certo senso di appartenenza per status e affari economici.

Perciò, il Commonwealth venne fondato nel 1926, mentre nel 1931 venne formalizzato lo Statuto di Westminster al fine di sottoscrivere questa alleanza politica e sociale. La sede ufficiale dell’organizzazione si trova a Marlborough House a Londra.

Il patto siglato attraversò diversi conflitti di ordine commerciale, sociale e comunitario, tanto da identificare un “Commonwealth dei bianchi” da parte dei membri africani.

Ciononostante, il numero degli stati membri continuò ad aumentare fino a raggiungere gli attuali 56 stati aderenti. Nel corso del tempo alcuni fra questi stati hanno deciso di allontanarsi dall’alleanza per poi di rientrare. Difatti, l’aderenza all’organizzazione e il rispettivo abbandono sono di ordine volontario.

 

significato di Commonwealth e la sua bandiera

 

Gli stati appartenenti all’organizzazione

 

La bandiera sopra esposta è quella che contraddistingue l’organizzazione. Come abbiamo visto, lo scopo del Commonwealth è quello di sostenere attraverso un accordo volontario i paesi con una trascorsa dominazione inglese.

Sebbene un tempo l’accordo siglato avvantaggiava gli stati membri in termini commerciali, oggi l’alleanza è meno forte e lo scambio di merci non assume più quel carattere elitario di un tempo.

Ma cosa significa esattamente fare parte del Commonwealth? Il significato di Commonwealth è aderire a un tessuto comune, la cui trama è composta dalla lingua e l’intreccio è fondato dal comune senso di gestione politica e amministrativa.

A presiedere l’organizzazione è il re di Gran Bretagna e dell’Irlanda Del Nord, ovvero Re Carlo III. Il capo esecutivo attuale è Patricia Scotland, la quale riveste anche il ruolo di Segretariato del Commonwealth.

Va da sé, che l’appartenenza all’organizzazione non consente alcuna ingerenza politica da parte degli altri stati membri nei confronti di un singolo stato.

Quali sono le nazioni all’interno del Commonwealth? Sono 32 repubbliche e 6 monarchie, le quali hanno un proprio monarca. In particolare, queste ultime sono la Malesia, il Tonga, i Brunei, la Samoa, il Lesotho e eSwatini.

Se non hai mai sentito parlare dello stato eSwatini, non ti preoccupare! Anch’io sono andata a vedere dove si trovasse e ho scoperto che lo stato si colloca tra il Mozambico a est e il Sudafrica.

 

mondo britannico

 

Gli altri stati membri, oltre all’Inghilterra, sono: 

  • Canada, Australia, Nuova Zelanda, India, Singapore;
  • Sudafrica, Pakistan, Ghana, Nigeria, Sierra Leone;
  • Sri Lanka, Malaysia, Trinidad e Tobago, Giamaica;
  • Malta, Cipro;
  • Uganda, Kenya, Malawi, Tanzania, Gambia, Botswana;
  • Barbados, Guyana, Mauritius, Figi, Tonga, Bahamas;
  • Togo, Gabon, Ruanda, Mozambico, Nauru, Namibia, Camerun;
  • Bangladesh, Belize, Maldive;
  • Grenada, Seychelles, Dominica, Isole Salomone, Saint Vincent e Grenadine;
  • Kiribati, Tuvalu, Saint Kitts e Nevis;
  • Antigua e Barbuda, Vanuatu, Saint Lucia.

Gli stati membri dell’organizzazione festeggiano ogni 4 anni i Giochi Olimpici del Commonwealth, la prossima edizione si terrà a Victoria nel 2026, mentre l’ultima è stata celebrata a Birmingham nel 2022.

Il significato di Commonwealth si propaga anche nelle competizioni sportive poiché lo sport funge da acceleratore di comunità e senso di appartenenza. Se ti interessa approfondire l’argomento, puoi visitare il sito del Commonwealth in cui vengono presentati i nuovi programmi di ordine organizzativo.