L’artista messicana Nahui Olín è stata una poetessa, una pittrice e una compositrice capace di esternare il dolore attraverso l’arte. Il suo unico difetto è stato quello di essere fin troppo progressista per l’epoca.
Stiamo parlando dei ruggenti anni Venti vissuti con intensità a Città del Messico: spregiudicati e allo stesso tempo ammantati da un forte valore borghese e cattolico.
Un’illusione di finta lascivia vissuta con gli occhi di un moralismo cozzante, dove la notte appariva libera e spregiudicata e il giorno serviva a nascondere la polvere dei turbamenti notturni.
L’autore Pino Cacucci
Pino Cacucci non è solo uno scrittore ma un grandissimo viaggiatore, sceneggiatore e traduttore. Ha vissuto per lunghi periodi in Messico, a Parigi e a Barcellona.
Tra le sue opere troviamo diversi racconti legati al Messico e alcune biografie. In particolare, questa su Nahui Olín, fa conoscere al pubblico italiano un’artista controversa che è stata amata e criticata in terra natia.
La maestria di Cacucci è di esaltare la femminilità, senza scadere nel pregiudizio tipicamente maschile nei riguardi delle donne libere. Non pago di questo, sottolinea proprio questo becero atteggiamento, illustrandolo nelle parole dei personaggi che hanno accompagnato la vita dell’artista messicana.
Ha scritto una biografia in chiave romanzata di un personaggio che si è spinta al di là delle aspettative dell’epoca, suscitando inevitabili chiacchiericci molesti.
Un gioco in cui a perdere erano sempre le donne. A loro veniva data l’illusione di essere libere fintantoché bastava all’uomo. Le donne si mettevano a nudo sul palco mentre un pubblico moralista composto sia da uomini che da donne, criticava senza pietà.
Nonostante questo, però, queste audaci donne brillavano, e trasformavano l’arte in un terreno aperto, pronto per essere arato da mani coraggiose coperte di pizzi.
“Ripensando alla mia vita, ho la sensazione di essere stata sabbia trasportata dal vento, anche se in ogni situazione mi sono illusa di cavalcare il destino, di imprimergli la direzione, di poterlo piegare alla mia volontà”.
L’artista messicana Nahui Olín
Nacque con il nome di Maria del Carmen Mondragón Valseca, figlia del generale Mondragón – inventore degli omonimi fucili – e responsabile del colpo di stato che uccise il Presidente Madero.
La piccola Carmen vive un rapporto controverso con il padre tanto da segnarle la reputazione con vaghe allusioni di incesto. Sposa un militare con lo stesso nome del padre che si interessa più a “soddisfare” i desideri dei suoi appuntati che quelli della moglie.
E una donna così carnale non può tollerare un affronto del genere. Si rintana in storie tormentate e vive l’esistenza artisticamente fervida di Città del Messico lasciando le proprie tracce nella storia.
Ama disegnare, scrivere, fotografare e inventare composizioni musicali, e lo fa con una facilità tale da sembrare una dote innata. Un’espressività che deve essere regalata al mondo, come il suo venerabile corpo.
Nel momento in cui pare aver trovato un certo equilibrio, come uno spago sfilacciato si spezza, lasciandola in frantumi. Il dolore che la attanaglia, però, rimane impresso nelle sue opere e nei suoi occhi così ingiustamente tristi.
È il racconto di una vita tormentata ma vissuta appieno nella sua contraddittorietà. Un personaggio implacabile che riporta al confronto con il quotidiano. Quanto ancora ci spaventa la diversità?
Nahui OlÍn esattamente come la data che nel calendario azteco corrisponde all’energia rinnovatrice, al moto perpetuo e porta il suo stesso nome, è stata capace di proiettare la sua energia donando in cambio vita, regalando al mondo la sua audace essenza eterna.
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