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Viaggiare filosofando potrebbe diventare uno stile di vita, proprio come fa Eric Weiner, l’autore del libro ‘Socrate Express’.

Lo scrittore ci insegna che gli antichi Greci e i filosofi moderni non erano dei turisti in questo mondo, bensì degli autentici viaggiatori.

Ma soprattutto che i loro dubbi correvano uniti come dei vagoni di un treno, e trovavano una parvenza di soluzione solo all’approssimarsi alla stazione.

Lungo le rotte ferroviarie del mondo percorse dallo scrittore, seguiamo i precetti di quattordici filosofi, attraverso differenti percorsi e molteplici panorami. Si tratta perlopiù di linee europee, indiane e americane.

E la speranza è quella di ottenere qualche intuizione, delle risposte che possano soddisfare la nostra fame di conoscenza, o semplicemente placare per qualche istante la nostra indomabile curiosità.

Viaggiare filosofando: grazie Socrate e compagni!

 

Nel corso del libro, Eric Weiner si è accompagnato ai filosofi per trovare le loro tracce e riesumare i loro pensieri. Lungo una tratta negli Stati Uniti ha interpellato lo stoico Marco Aurelio, chiedendogli perché la mattina è così difficile alzarsi.

Capita a qualsiasi viaggiatore di provare eccitazione prima di un viaggio, ciononostante quando il volo è di mattina presto, i nostri occhi faticano ad aprirsi. Per quale motivo?

Secondo il testo: “Siamo tutti soggetti alle stesse leggi dell’inerzia: siamo corpi a riposo, in attesa che una forza esterna agisca su di noi“. Alzarsi costa fatica, sebbene sia la premessa a qualcosa di elettrizzante.

Talvolta, crea anche angoscia, ed è questa paura verso l’ignoto a spingerci a rimanere a letto.

Tuttavia, lo sferragliare dei pensieri cambia rotaie continuamente, perciò riusciamo a partire verso la nostra direzione, lasciandoci alle spalle vulnerabilità e stanchezza. E più viaggiamo, più la paura sguscia via, al pari della velocità del mezzo.

Invece Thoreau, in un altro viaggio in treno verso Concorde e poi a Walden, suggerisce all’autore di essere presente. Viaggiare filosofando come stile di vita, insomma.

Perché la saggezza non è legata ai luoghi di villeggiatura, bensì è sempre portatile, a meno che non desideriamo il contrario.

Un altro problema relativo ai tempi moderni è la capacità di seguire il proprio daimon, o demone, come sostenevano i Romani. Si tratta di uno spirito guida che ci aiuta a conseguire la nostra vocazione.

Eppure, al giorno d’oggi, chi conosce la propria autentica vocazione? Basterebbe riprendere la frase di Thoreau per comprendere quanto sia essenziale: “Se io non sono io, chi lo sarà?

 

Viaggiare filosofando e domandando

Henri David Thoreau

 

Il filosofo americano Henri David Thoreau trascorse alcuni anni vivendo nei boschi. Si costruì una casupola e lì rimase, cercando cibo e acqua per sopravvivere.

I detrattori sostengono che il giovane non fosse proprio isolato, bensì andasse quasi tutti i giorni al bar del paese e, in caso di necessità, richiedesse i servigi di sua madre.

Malgrado ciò, fece un’esperienza personale e filosofica che ciascuno di noi può riprendere. Difatti, ci consiglia di trovare il nostro Walden, facendo riferimento al nome del luogo in cui si ritirò a vivere.

Poiché, non è tanto il luogo a manifestare la bellezza, ma noi a determinarne il significato, incasellando nella memoria e nella sede delle nostre emozioni, panorami e scorci distintivi.

Se ci pensi, ha senso: ti è mai capitato di andare in vacanza in una città e di non apprezzarla?

Forse il tuo temperamento era instabile ed eri sopraffatto dalle emozioni? Questo scenario può rovinare un soggiorno, facendoci vedere tutto in negativo.

Un’altra pillola di saggezza donataci dallo filosofo è: “Vedere richiede non solo tempo ma distanza. Non puoi vedere qualcosa finché non gli sei distante.

Prendiamo lo spazio per vedere, magari camminando o facendo della flânerie. Abbiamo il tempo e la distanza: ora riusciremo finalmente a cogliere il senso del nostro viaggio con un piglio maggiormente disincantato.

 

Cambiare prospettiva

 

Viaggiare filosofando come attitudine

Sono diversi gli insegnamenti che si traggono da questo libro. Possiamo diventare dei viaggiatori autentici e smetterla di assomigliare a chiunque pubblichi dei contenuti sui social. “Se io non sono io, chi lo sarà?”. Ricordi?

Gli stoici ci indicano una via per non arrabbiarci quando i piani del viaggio non vanno secondo le aspettative, seguendo la clausola di riserva. Invece di pretendere che tutto fili liscio, anticipiamo il progetto di viaggio con un ‘Se il fato vuole‘.

Quando i piani non collimano, diventiamo consapevoli della mancanza di controllo, e di elementi pronti a fuggire dalle trame del nostro destino. Nostro malgrado, qualcosa sfugge alla nostra vigilanza.

Non diventiamo dei viaggiatori che si spostano per aggiungere località alla ‘To do list‘, bensì diamo un significato alla nostra vacanza, impregnandola di ricordi, sensazioni e magari formando una nostra propria filosofia di vita.

E soprattutto, come diceva Gandhi, usa pensieri e parole pulite per descrivere le località che andrai a visitare. Dovranno essere liberi da qualsiasi violenza, sia essa espressa sotto forma di giudizio o di azione irrispettosa. E il fato sa, quanto ce ne sia bisogno al giorno d’oggi.

L’ultimo viaggio di Émile sui Pirenei francesi è una storia senza ritorno, poiché il protagonista è in procinto di lasciare questa vita. Il suo quadro clinico non lascia scampo: Alzheimer precoce.

Così decide di partire per un ultimo viaggio on the road non prima di aver acquistato un camper e di aver scritto un annuncio di ricerca per un compagno di viaggio.

Il messaggio dell’annuncio è alquanto evocativo e recita: “Cercasi compagno/a di viaggio per un’ultima avventura”. Convinto che nessuna persona sana di mente risponderebbe mai all’annuncio, si appresta ad avventurarsi da solo.

E invece, insospettabilmente, qualcuno risponde al suo messaggio. Si tratta di una ragazza, Joanne, la quale forse percepisce lo stesso desiderio di fuga.

Si ritrovano e partono, entrambi sospettosi, per scoprire dove li porterà questo viaggio. Perché i viaggi inaspettati sono quelli che offrono i migliori auspici.

 

ultimo viaggio di vita

 

Fare un ultimo viaggio poiché costretti

 

Nell’immagine di copertina, ho usato un fiore emblematico: il soffione. Si tratta del tarassaco, una pianta che segue un’evoluzione interessante. Dapprima nasce come corpo verde, poi si compone di petali giallo brillante e infine in soffione.

Quando assume la forma di soffione, la pianta diventa il simbolo della vita. Ognuno di noi, per seguire il proprio cammino, deve staccarsi da tutto ciò che lo tiene ancorato, e spiccare il volo per andarsi a posare in un suolo più affine al nostro io.

In questo frangente, dobbiamo abbandonare anche le nostre paure, le quali altrimenti fungerebbero da peso e non ci permetterebbero di andare dove vogliamo.

Lamentarsi non serve a nulla; poiché non c’è libertà nelle parole che non conducono verso la nostra autentica vocazione. Il soffione non ha paura di lasciare i suoi ombrelli, bensì li lascia sfuggire, poiché è sicuro che stanno seguendo la loro natura.

Si tratta di una metafora ricca di fascino e di verità. Quanti di noi riescono a essere dei soffioni nell’aspirazione della loro identità? Sono in pochi a poter vantare tale audacia. Per la maggior parte è più semplice nascondersi al riparo del rancore e dell’autocommiserazione.

Serve coraggio, forza e desiderio per agguantare i propri sogni, così come ne vuole per abbandonare una vita. Il protagonista del libro Émile, e la sua compagna Joanne, mettono in evidenza questo messaggio. E il loro viaggio diventa un riverbero di vitalità e di valore.

Il libro Tutto il blu del cielo

Tutto il blu del cielo di Mélissa Da Costa

 

Il libro a cui faccio riferimento è “Tutto il blu del cielo” scritto da Mélissa da Costa e tradotto da Elena Cappellini. La storia è già stata narrata in parte all’inizio dell’articolo, e non voglio addentrarmi nei particolari, così da non svelarne i contenuti.

L’aspetto più interessante però è la metafora del viaggio, usata spesso come simbolo di trasformazione, quando a volte invece, si interfaccia come un rifluire o un lasciare andare.

Non sempre una vacanza ha una valenza di miglioramento, poiché ci vuole una predisposizione per accogliere i messaggi. Spesso, è un modo per riposarsi e vedere nuovi scenari.

Così come il libro si può leggere in differenti strati di comprensione, la vacanza può essere fatta con uno spettro di intensità differenti. Per fare un semplice esempio, ti voglio raccontare un aneddoto.

Quando ho fatto il mio primo safari in Kenya, sono stata travolta dalle emozioni perché non mi sarei mai aspettata di vivere una simile avventura.

Al contrario, la mia compagna di viaggio ha visto il tutto come qualcosa di noioso e poco stimolante. “Pensavo meglio” fu il suo commento, e mi lasciò basita.

Al contempo, fu un insegnamento. Capii che senza la curiosità e senza alcun entusiasmo, è difficile sovrastare la piattezza della quotidianità.

Anche in questo ci vuole baldanza, e la capacità di lottare affinché la vita non diventi priva di tonalità ed espressione. Perciò, non aspettare che sia troppo tardi per inseguire i tuoi sogni, bensì combatti ogni giorno per ritagliare nella tua esistenza, per quanto grigia, un lembo di spensieratezza. Da lì potrai volare leggero al pari del soffione.

Bernardino Drovetti è stato uno dei protagonisti che ha portato alla ribalta i reperti storici di origine egizia. Si tratta del massimo contributore della raccolta presente nel Museo Egizio di Torino.

Possiamo dire, senza alcuna remora, che è grazie a lui se oggi abbiamo la possibilità di visionare così tanti reperti egizi presenti a Torino, nonostante le giustificate lamentele del popolo egiziano.

Ma dobbiamo contestualizzare il periodo storico, il momento in cui Napoleone Bonaparte portò alla conoscenza delle corti europee la bellezza della Civiltà Egizia e incuriosì le persone a conoscere in maniera approfondita quel mistero ancora velato.

Con la scoperta della scrittura egizia, a opera dello studioso francese Jean-François Champollion il 27 settembre 1822 (data di pubblicazione della sua relazione), nacque lo studio dell’egittologia.

Inoltre, si sviluppò un fenomeno a cui fu dato il neologismo inglese tourism, tradotto in francese tourisme che diede vita ai viaggi avventurosi dei protagonisti maschili e femminili dell’epoca.

 

L'Egitto e Bernardino Drovetti

Il libro di Giorgio Caponetti e la storia di Drovetti

 

La figura di Bernardino Drovetti l’ho scoperta grazie all’immenso lavoro di ricerca svolto da Giorgio Caponetti. L’autore raccoglie testimonianze e lettere epistolari del protagonista, così da formare la storia della sua presenza in Egitto.

In quel particolare periodo storico, nell’area piemontese, le persone simpatizzavano per il re oppure occhieggiavano alla predominanza francese sul territorio.

Bernardino Dovretti parteggiò per i francesi tanto da partecipare alle campagne di Napoleone. Ebbe addirittura l’occasione di salvare la vita al cognato dell’Empereur, il famoso maresciallo Gioacchino Murat, che ritenne Drovetti sempre un suo grande amico.

Fu inviato come diplomatico in Egitto il 2 giugno del 1803 assieme al suo fidato amico che lo accompagnò in ogni sua avventura egizia. Lì conobbe diversi personaggi tra cui Jean Joseph Balthalon che gli affittò l’ufficio e la dimora.

Quando Balthalon se ne andò, Drovetti si prese cura della moglie tanto da avere assieme a lei un figlio, l’unico erede che riuscì ad avere, sebbene non  raccolse il testimone della perspicacia intellettuale paterna.

Ma soprattutto fece amicizia con Mehmet Alì, capo indiscusso dei territori egizi in quel tempo. Fintantoché Napoleone scorrazzava lasciando scompiglio in Europa, Dovretti rimase al suo posto.

Non appena Napoleone fu sconfitto ed esiliato nell’isola d’Elba intensificò la sua attività di raccolta dei reperti storici. Nel tempio della regina Nefertari ancora oggi è visibile il suo passaggio in quanto scalpellò la scritta: “Bernardino Dovretti 1817”.

 

papiro egizio

Gli incredibili incontri con Belzoni e Segato

 

Di ritorno da Tebe, Dovretti vide una scena incredibile. Più di duecento braccia stavano tirando una statua in pietra con delle lunghe corde. A dirigere i lavori c’era un uomo di alta statura, dai capelli corvini e dall’aria concentrata.

Quest’uomo altri non era se non il nostro amato padovano Giovanni Battista Belzoni che stava raccogliendo una quantità di reperti storici egizi da consegnare al British Museum di Londra.

Quel colosso di pietra era la Testa di Memnone che ancora oggi possiamo ammirare in una delle sale del museo londinese.

Tra Drovetti e Belzoni non corse buon sangue, sebbene Drovetti fu lesto ad ammettere il grande fiuto del padovano nel ritrovare tesori sepolti da millenni. Grazie a lui, infatti, furono scoperte ben otto tombe di re e regine Egizi nella sola Valle dei Re.

Un’altra conoscenza veneta che fece Drovetti fu il discusso Girolamo Segato, originario di Sospirolo, comune del bellunese. Segato crebbe a Firenze e si appassionò di egittologia.

Decise di partire alla scoperta dei tesori egizi ed ebbe la sventura di perdersi all’interno dei labirinti dell’ipogeo nella necropoli. Riuscì a uscire solo tre giorni dopo non senza conseguenze.

Infatti, una volta tornato in patria realizzò dei complementi di arredo con dei tessuti umani: aveva scoperto il segreto della mummificazione. Regalò un tavolo così realizzato al Granduca di Toscana, il quale rimase scandalizzato dall’ardire del bellunese e lo cacciò.

Segato rimase talmente offeso dal comportamento del Granduca che decise di non rivelare a nessuno la sua scoperta. Non a caso, ancora oggi nessuno conosce la formula originale ideata da Segato.

 

sarcofago egizio bernardino drovetti

La collezione Bernardino Drovetti

 

Al Museo Egizio di Torino arrivò la maggior parte dei ritrovamenti di Drovetti ma l’esploratore vendette la seconda parte della collezione al museo parigino del Louvre.

Stiamo parlando di quasi quattromila reperti suddivisi tra statue, mummie, stele, papiri, vasi e suppellettili, scarabei, amuleti, gioielli e bronzi. Tra questi a spiccare in bellezza è la statua di Amon, il faraone seduto sul suo trono con le mani appoggiate sulle gambe con il suo tipico sguardo misterioso.

La statua fu rinvenuta a Tebe, la scritta nel piedistallo è eloquente e riporta: “Découvert par J.F. Rifaud, sculpteur au service de M. Drovetti à Thèbes 1818“.

Il suo prezzo di vendita fu centocinquantamila franchi che paragonati a oggi corrispondono a circa 1.700.000 euro. Quasi un tesoro dal valore inestimabile.

Il 30 agosto 1824 la collezione Drovetti fu sistemata nelle sale del Museo Egizio di Torino secondo le indicazioni dell’architetto Ferdinando Bonsignore e furono visionati anche dall’appassionato egittologo Champollion, accorso in città per studiare i geroglifici.

Il museo venne inaugurato ufficialmente l’8 novembre 1824 da re Carlo Felice. A comunicare la lieta novella fu Alighiero Buffa di Perrero, vecchio amico di Bernardino Drovetti.

Dopo molti anni dall’evento, Drovetti lasciò l’Egitto ma andò a vivere in Francia. Fece ritorno nella sua amata terra e oggi le sue spoglie riposano al Cimitero Monumentale di Torino.

La prossima volta che andrai a visitare il Museo Egizio ringrazia chi con enorme difficoltà convinse i reali sabaudi a dedicare le sue scoperte all’intera popolazione mondiale.

 

Link di approfondimento:

Le ricette della cucina israeliana è un libro di ricordi, emozioni e sensazioni culinarie raccolte dai due autori protagonisti del libro. Il titolo è semplicemente “Jerusalem” e nasconde, nella semplicità del titolo, la stessa essenzialità della cucina gerosolimitana.

Una città – quella di Gerusalemme – intricata, posizionata sui cucuzzoli delle colline, suddivisa in un dedalo infinito di vie di stampo romanico e un crogiolo di spiritualità che si intrecciano fino quasi a soffocarsi.

Gli stessi autori sono scettici nel raggruppare delle ricette che raccolgano questo infinito insieme di diversità. Eppure ci riescono, aiutandosi coi ricordi dei sapori e dei profumi che richiamano la mescolanza di tradizione israeliana.

 

“Ma esiste qualcosa che si possa chiamare cibo di Gerusalemme? Si consideri che in questa città ci sono monaci ortodossi greci; preti ortodossi russi; ebrei hassidici di provenienza polacca; non ortodossi provenienti dalla Tunisia, Libia, Francia e dall’Inghilterra; ebrei sefarditi, che vivono qui da generazioni; musulmani palestinesi della Cisgiordania oltre a molti altri, originari della città stessa o di località lontane; ebrei ashkenaziti provenienti dalla Romania, dalla Germania, dalla Lituania e ebrei sefarditi venuti più di recente dal Marocco, dall’Iran, dall’Iraq e dalla Turchia; arabi cristiani e armeni ortodossi; ebrei yemeniti, ebrei etiopi (ma anche etiopi copti); ebrei di provenienza argentina ma anche oriundi dell’India meridionale; monache russe che si prendono cura di monasteri e una quantità di ebrei di Bukhara (Uzbekistan)”.

 

Recensioni ricette della cucina israeliana

 

Il libro è di facile lettura, disponibile in versione cartacea ed ebook, sfogliabile in maniera ottimale nonostante la forma digitale. Gli autori partono dalle memorie per raccontare il libro visto che sono trascorsi venti anni da quando hanno abbandonato Gerusalemme.

E lo fanno facendosi aiutare dalle immagini che costellano le pagine del libro. Poi, narrano la difficile e complicata storia di formazione della città, descrivendo tutte le dissonanze che si porta dietro ancora oggi, esplodendo di tanto in tanto in conflitti interni.

La lontananza di vedute, pur vivendo a pochi centimetri di distanza, appaiono intollerabili. Però un punto di incontro c’è ed è la cucina, o meglio l’hummus. La deliziosa salsa di ceci che ognuno condisce con la propria ricetta segreta. L’ultima parte del libro è dedicata alle ricette vere e proprie suddivise in:

  • verdure;
  • legumi;
  • cereali;
  • zuppe e minestre;
  • ripieni;
  • carni;
  • pesce;
  • sfoglie salate;
  • dolci e dessert;
  • condimenti.

Un insieme di pasti che possono ricreare la tipica atmosfera gerosolimitana: una tradizione contraddittoria e proprio per questo così vitale e invitante.

 

hummus nelle ricette della cucina israeliana

 

Trovi il libro di ricette della cucina israeliana a questo link:

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Il libro Bonnes Vacances scritto da Rosie Millard racconta le avventure di una famiglia che viaggia in cinque diversi continenti. Gli stati visitati non sono scelti a caso ma corrispondono ai paesi della Francia d’oltremare.

Il viaggio non è una storia di fantasia ma un racconto dettagliato dell’avventura compiuta dall’autrice in compagnia di suo marito e dei suoi tre figli. In seguito si aggiungerà anche la quarta figlia.

Perché scegliere i dipartimenti esteri francesi e chi è l’autrice?

L’autrice è una giornalista britannica che ha collaborato con i più importanti quotidiani e giornali inglesi quali: ‘The Independent’, ‘The Times’, ‘The Sunday Times’, ‘ArtReview’ e ‘The New Statesman’.

È autrice, inoltre, di altri tre libri e un’appassionata della cultura francese. Proprio quest’ultimo motivo l’ha spinta a compiere un viaggio, quasi intorno al mondo, per saggiare la cultura francese oltre l’Europa.

Grazie a lei ho imparato che la Francia è chiamata Métropole o Hexagone mentre i dipartimenti satelliti sono denominati DOM-TOM  e sono sparpagliati, appunto, in cinque diversi continenti.

Riassunto del libro Bonnes Vacances

 

Il titolo completo del libro é: “Bonnes Vacances! Le folli avventure di una famiglia attraverso cinque continenti” ed è stato pubblicato nel 2012, anno della scomparsa di Michael Jackson.

La famiglia si trova proprio in visita nel primo stato francese della lista, St. Pierre e Miquelon, quando ascolta casualmente la notizia della morte del cantante americano.

Il dipartimento si trova in prossimità del Canada, nell’oceano Atlantico, ed è famoso per le sue casette colorate (come quelle di Burano) e la nebbia avvolgente.

Fu lasciato ai francesi dagli inglesi in cambio della parte francese del Canada. Avvenne dopo la disfatta della flotta francese nel Québec nel 1763 e fu donata assieme alle Antille Francesi, Martinica, Guadalupa e Santo Domingo.

La famiglia è stata incaricata dall’emittente Travel Channel di filmare e narrare gli episodi salienti e i punti turistici più importanti che andranno a visitare.

Dovranno farlo, però, a titolo gratuito, in quanto l’emittente si preoccuperà solamente di organizzare gli incontri con i funzionari politici e di prenotare i vari tour nei diversi paesi.

A causa di questo inconveniente saranno costretti a scegliere strutture turistiche e voli low-cost pur di non sforare il budget del viaggio. Nei paesi francofoni, infatti, il costo della vita risulta piuttosto elevato e inadatto ai viaggiatori zaino in spalla.

Dopo la prima tappa, l’atmosfera diventa più frizzantina e vira verso l’atmosfera caraibica della Martinica.

 

“Spiaggia e bikini arriviamo! […] Sì, perché stiamo partendo per la nostra prossima destinazione, la patria dello zucchero, del rum e delle banane. La Martinica”.

 

La Martinica è un’isola annientata dall’eruzione nel 1902 dal Monte Pelée. Di trentamila persone se ne salvò solo una, un prigioniero di nome Cyparis sepolto in una cella sotterranea.

Nel corso del tempo è diventata un luogo di villeggiatura frequentato da persone illustri con hotel e villaggi da cinque stelle e più.

Di tutt’altra atmosfera, invece, la terza tappa, ovvero la Guyana Francese. Entroterra facente parte dello stato del Brasile non ha nulla da presentare ai turisti se non alcuni siti creati ad hoc per i pochi villeggianti che passano da queste parti.

Sarà difficile per l’autrice e i suoi familiari rimanere qui e varie disavventure faranno crollare il morale della truppa. Fortunatamente altre mete li aspettano e soprattutto arriverà il momento in cui saranno raggiunti anche dalla figlia maggiore.

 

Francia d'oltremare, libro Bonnes Vacances

 

Recensione del libro Bonnes Vacances

 

Se si vanno a spulciare le recensioni lasciate dagli utenti su Amazon possiamo vedere che il risultato raggiunge le tre stelline. Il problema del libro riguarda il tono di scrittura.

Il viaggio è raccontato seguendo uno stile reportage ma le parti più difficili e di conseguenza le più comiche, non esprimono brio e divertimento.

Alcuni passaggi avrebbero potuto risultare più ilari se si fosse usato un registro meno formale. Adottando questo tono, ahimè, il libro risulta piatto, nonostante l’intenzione e l’idea non siano malaccio.

Inoltre, la copertina del libro trae in inganno: perché il disegno cartonato fa pensare a qualcosa di leggero e scorrevole, adatto anche ai lettori più giovani.

Per fortuna, rimangono le curiosità sui luoghi visitati. Certi termini francesi o certe particolarità dei territori visitati lasciano il sentore di un viaggio vissuto intensamente sebbene a un ritmo leggermente noioso e sorpassato.

George Orwell senza soldi a Parigi e a Londra? Ma quando è successo e come faccio io a sapere di questa avventura accorsagli? Ho solamente letto il suo libro e ora te ne lascio la recensione.

È stato narrato dallo stesso protagonista fra le pagine del romanzo: “Senza un soldo a Parigi e a Londra” dove si ritrovò a svolgere i lavori più umili, a fare accattonaggio e a vendere i propri vestiti per potersi permettere una dimora e del cibo.

La vita di Orwell

 

Orwell è conosciuto per essere il padre dei romanzi distopici inglesi grazie ai titoli “1984” e “La fattoria degli animali”: due testi che non mi hanno fatto dormire per alcune notti.

Le sue avventure nelle metropoli europee invece, si discostano totalmente dal genere letterario che l’ha reso famoso, presentandosi come una sorta di reportage sulla società degli anni Trenta.

L’autore nacque in India e si trasferì solo da adolescente in Inghilterra, nell’Oxfordshire. Fu ammesso all’Eton College e lo frequentò per quattro anni dove conobbe come professore Aldous Huxley, un altro autore distopico che probabilmente influenzò i suoi scritti futuri.

A causa delle continue vessazioni che subiva dai compagni di scuola per le sue radici in parte indiane, decise di abbandonare gli studi e di seguire le orme professionali del padre, il quale lavorava nelle file dell’amministrazione britannica in India.

Fu spedito così in Birmania dove si arruolò nella Polizia Imperiale. L’esperienza però durò ben poco: il clima di repressione e di arroganza lo lasciò disgustato dal regime, e gli fece decidere di rinunciare alla mansione lo stesso anno.

Ed eccolo comparire in Francia e più precisamente a Parigi dove si presterà a vivere nei sobborghi più poveri della capitale. Alle vicissitudini francesi farà parte anche un breve periodo da disoccupato a Londra che lo farà avvicinare al mondo dei senzatetto.

 

foto di George Orwell

 

George Orwell senza soldi a Parigi e a Londra

 

Ho trovato il libro estremamente interessante per conoscere le condizioni sociali in cui vivevano parte dei cittadini delle più popolose capitali europee

Siamo nel periodo a cavallo fra la Prima e la Seconda guerra mondiale e l’economia degli stati europei sta faticosamente cercando un equilibrio. Le città stanno diventando sempre più commerciali e molti hotel ospitano i soggiorni delle personalità altolocate. 

Di contro, la povertà nei bassifondi diventa sempre più devastante e le condizioni di lavoro non garantiscono una vita dignitosa. Cercare lavoro al ristorante o in hotel significa adattarsi a delle condizioni disumane e saggiare il livello di sporcizia degli ambienti. 

Dopo varie peripezie Orwell trova lavoro come sguattero: coperto dal sudiciume a lavorare per 17 ore al giorno.

La misera paga gli permette appena di mangiare e di pagarsi una stanza e di conoscere la gerarchia delle cucine. Lui appartiene al gradino più basso, al quale seguiranno i magazzinieri, i camerieri, i cuochi, i direttori fino ad arrivare al direttore generale che decide le sorti di tutti.

Resiste circa un mese per poi ritornare a Londra abbagliato da una proposta di lavoro che si volatizza non appena tocca suolo inglese. Si ritrova quindi a vivere da senzatetto per alcune settimane. E anche qui, funge da reporter, osservando il comportamento e studiando le chiavi di lettura di quel particolare microcosmo.

A Londra

Vive le avventure più disparate che interiorizza e che andranno a formare la sua mentalità socialista. Lo scrittore sarà bollato come fervente sostenitore del partito di sinistra.

Un romanzo colorato da esperienze paradossali che fanno sorgere una domanda: quanto si è fatto per aiutare i cittadini che si ritrovano in condizioni disagevoli?

In questa telefonata interplanetaria bisogna risolvere alcuni problemi: tipo la sopravvivenza di Last Chance e il possedimento della Terra. Un romanzo paradossale, in perfetto stile Douglas Adams che racconta una telefonata alquanto particolare.

Due chiacchiere sull’autore del libro

 

Gianluca Neri è la persona che ha scritto il libro “Il grande elenco telefonico della Terra e dei pianeti limitrofi (Giove escluso)”, il quale si dichiara un fan di Douglas Adams e della sua fortunata serie “Guida galattica per autostoppisti”.

Infatti, nelle battute irriverenti, si scopre il velo di ironia che contraddistingue Douglas e per un momento si ritorna a sognare in compagnia dei suoi racconti. 

Gianluca Neri è un autore televisivo, un conduttore radiofonico e il fondatore del Macchianera Italian Award, una manifestazione che premia ogni anno i migliori blog e siti italiani del web.

Questo è stato il suo libro d’esordio ed è stato pubblicato da BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) nel 2010. Alla fine del libro si trova un’aggiunta o un bonus, come lo chiama lo scrittore, pubblicato da Wired in un numero speciale di luglio/agosto 2014.

 
 
un abitante di Sedna nella telefonata interplanetaria

 

Recensione libro della telefonata interplanetaria

 

Last Chance conduceva una vita alquanto noiosa ma piacevole: di giorno lavorava e la pausa pranzo la trascorreva al suo pub preferito, dove c’era quella cameriera che mangiava con gli occhi assieme al suo panino.

Un giorno gli arrivò una telefonata interplanetaria inaspettata. Chi c’era all’altro capo del telefono? Un abitante di un pianeta chiamato Sedna che rivendicava la proprietà della Terra.

Costui si lamentava di averla trovata in disordine e tutta allagata. Per tranquillizzare gli animi delle altre persone – tutti gli abitanti di Sedna, per la verità – che erano in sua compagnia, aveva deciso di chiamare un numero scritto su di un cartello, che recava la frase “Torno subito”.

Quel numero apparteneva al nostro amico Chance, il quale viveva nel passato. Il sednano chiamava infatti dal futuro, lamentando di non trovare altri abitanti a cui richiedere spiegazioni.

Eravamo spariti dalla faccia della Terra senza che nessuno ne conoscesse la ragione. L’unico capace di risolvere questo districato enigma era lui: Last Chance, l’ultima possibilità.

Inizia così un dialogo surreale fatto di incomprensioni, richieste di matrimonio e incontri con Dio. Ci saremo ancora o sprecheremo con la nostra stoltezza (famosa in tutto l’universo, tra l’altro) l’ultima opportunità?

‘Ai posteri l’ardua sentenza’ direbbe il Manzoni, ma essendo il libro ispirato alla famosa saga di Douglas la risposta sarà, ovviamente, più assurda e paradossale.

Libro spassosissimo che ti consiglio caldamente di leggere soprattutto in vista di un Natale che si prospetta solitario. Ti aiuterà a trascorrere dei momenti di pura ironia e di riflettere sul nostro mondo e sulla sua interplanetaria assurdità.

La storia narrata nel libro “Lo schiavo Patrizio” si muove sullo sfondo di una Venezia antica, una città marinara e internazionale. Contro la Serenissima, il potente Impero Ottomano nella sfida della celeberrima battaglia di Lepanto.

Lo schiavo patrizio

 

Il protagonista del racconto è Alvise Zorzi figlio di un ricco patrizio veneziano e fratello di Pietro Zorzi. Quest’ultimo ha un rapporto conflittuale con Alvise perché gli invidia la sua audacia, la sua estroversione e la spensieratezza. Lui, invece, è un’anima meditabonda affetto da menomazioni fisiche dovute da un attacco di vaiolo in tenera età.

Crescendo i due prendono strade diverse: Alvise va in cerca di fortuna per mare mentre Pietro si butta in politica. Nonostante l’allontanamento, un destino infingardo ravviva i dissapori mai cancellati proprio nel momento in cui i fratelli potevano avvicinarsi.

Pietro si unisce in matrimonio, secondo le leggi di manipolazione aristocratica dell’epoca, a una giovane ragazza dalla bellezza esotica e sfolgorante. Appena Alvise pone il suo sguardo nell’oscurità degli occhi lucidi di quella fanciulla, se ne innamora perdutamente.

Questa attrazione clandestina aumenterà l’acredine e porterà i due fratelli nuovamente l’uno contro l’altro. Alvise verrà ridotto in schiavitù dai Turchi a seguito di una battaglia persa in mare e, come un riscatto insperato, Pietro ne approfitterà per operare la sua vendetta.

Sebbene il commissario turco richieda la liberazione di Alvise a fronte di un pagamento, Pietro lo abbandonerà al suo triste destino, senza riscattarlo.  Inizierà per entrambi una vita di sofferenza: l’uno come schiavo e l’altro tormentato dai rimorsi.

 

Venezia antica

 

Venezia antica: recensione del libro

 

Il libro è affascinante e magnetico perché si muove sullo sfondo di una Venezia antica, quando il doge era la massima autorità in carica. Si sposta, poi, nel nord Africa, in Turchia e in India, portando il lettore a conoscere altre vicissitudini storiche di città decadute e mai più risorte.

Alla verità storica si contrappone la finzione letteraria che non va mai a cozzare, bensì si intreccia in modo esemplare, esaltandone i fatti.

I personaggi si susseguono amplificando il senso e la trama, omaggiando così i lettori di momenti di suspense e speranza. Al termine si prova una sorta di lutto come quando finisce un viaggio e si devono abbandonare quei scenari che ci hanno così tanto incantato. 

 

Trovi il libro di Giacomo Stipitivich su Amazon a questo link:

Viaggiare leggeri è un modo di essere, di girare il mondo e di esprimere la propria personalità e le mille sfaccettature del carattere. L’insegnante di leggerezza è una ragazza che ha vissuto a metà degli anni Cinquanta e che decise di girare il mondo con una sacca, senza soldi e molta tenacia.

Oggi pare quasi un’avventura normale ma l’idea patriarcale che gli uomini avevano nei confronti delle donne non permettevano ai quei tempi questo genere di avventure.

Katharina Von Arx

 

La nostra eroina era arcistufa dei preconcetti maschilisti e si annoiava a morte nei circoli letterari viennesi. E pensare che aveva lasciato una sonnacchiosa provincia svizzera per trasferirsi nella gloriosa città teutonica con la speranza di vivere trepidanti serate.

E invece, ancora una volta, era rimasta delusa dalla prepotente immagine maschile che imperava anche negli ambienti in cui viene richiesta una certa dose di estro e sensibilità.

Le sue parole furono, se vogliamo, ancora più esasperate:

 

“Le donne potevano avere talento, ma non genio. Per noi donne la cosa non aveva nessun senso, visto che non c’era la più pallida speranza di diventare un Michelangelo; perché Michelangelo era un uomo. Uomini, uomini… sempre e solo uomini”.

 

Decise così di partire in cerca di nuovi orizzonti che le aprissero spazi in cui muoversi finalmente libera. Scelse l’India dove approdò carica di energia, speranze e curiosità.

 

Viaggiare nel mondo inseguendo i sogni come questa bambina che osserva l'infinità del mare

 

Il viaggio

 

La comunità indiana, però, non poteva certo marchiarsi di essere aperta al mondo femminile, ma anzi piuttosto ligia alle credenze popolari e ai pregiudizi antiquati.

Sì trovò, ahimè, in situazioni paradossali per scansare pretendenti che volevano approfittare della sua solitudine e libertà. Viaggiare leggeri, a quanto pareva, assumeva significati diversi in base alle persone che incontrava.

Per lei significava togliersi di dosso una zavorra sociale che non la faceva respirare, per il sesso maschile – ma anche un alta percentuale di donne – indicava disponibilità e libertinaggio.

Sembra quasi parafrasare il libro di Milan Kundera “L’insostenibile leggerezza dell’essere” in cui mette in contrapposizione le diverse vedute mentali sul concetto di leggerezza.

Neanche cambiare stato la aiutò a eliminare tutte le avances a cui era sottoposta, perché anche se il terreno appare diverso in base alla coltura, non è detto che sia mutato il lavoro del contadino.

Attraversò l’Egitto, l’India, la Cina, il Giappone e le idee non cambiavano sostanza, trasformando solamente la forma in cui venivano velatamente espresse.

Infine, approdò in America dove ritrovò un po’ di pace ma anche la stanchezza di un lungo viaggio che le aveva comunque lasciato qualcosa. Un sogno realizzato grazie a una fuga, un modo per dimostrare agli uomini che l’essere donna nasconde un universo di libera consapevolezza.

Conclusioni del viaggiare leggeri

 

Sono passati quasi 70 anni dalla stesura del libro e ho ritrovato molte assonanze con il mondo moderno. Ho dovuto schivare anch’io, più volte durante un viaggio, delle proposte indesiderate da parte degli uomini.

Pare quasi che il solo fatto di viaggiare libere implichi automaticamente anche una certa disponibilità amorosa. Quello che gli uomini non sanno, o fingono di non capire, è che il viaggiare in solitudine non significa muoversi per cercare qualcuno.

Si tratta di un viaggio introspettivo e personale, atto ad abbattere le sovrastrutture sociali a cui noi donne dobbiamo silenziosamente obbedire.

Un modo per evadere dalla pesantezza del pensiero maschile che soffoca e indebolisce. Quindi uomo, quando vedi una donna viaggiare leggera, in solitaria, non pensare che cerchi solo compagnia ma lasciala fare il suo ballo. Se avrà desiderio di un cavaliere sarà lei stessa a chiedertelo.

Se vuoi leggere il racconto lo trovi a questo link: